Domani escursione alla grotta di Marina di Guardiola. Pinne e maschera per tutti per raggiungere a nuoto l’entrata sommersa della grotta che come una cattedrale si presenta agli occhi dei più audaci – se in apnea riescono a varcare la porta d’ingresso. Un monumento che solo la Natura poteva sapientemente realizzare plasmando la roccia carsica.
Porterò la macchina fotografica subacquea per immortalare la spedizione.
Il mare è calmo, una tavola, di un azzurro bellissimo e il sole scalda già la nostra pelle. E’ ora di tuffarsi.
Un brivido lungo il corpo, pochi secondi e dimentichiamo la sensazione umida della nostra pelle imperlata dal vento di Scirocco. Ora siamo un tutt’uno con il mare, non avvertiamo più la dimensione, la fisicità del nostro corpo.
Il fondale appare limpido. Perchie, ma anche pesci dai colori vivaci riconosciuti come «sciuli» e piccole aguglie sembravano accompagnarci nella nostra traversata.
Lunghe e ben distese le nostre bracciate e cadenzati i colpi di pinna.
«Arrivati!»
Un respiro lungo per gonfiare i polmoni e poi giù verso l’entrata della grotta. Siamo nel ventre! Ammiriamo in silenzio le pareti, la volta, gli anfratti e pian piano, anche con un pò di paura, raggiungiamo la parete in fondo.
Il rullino è finito. Torniamo verso l’uscita.
Di nuovo in mare aperto ci divertiamo a fare snorkeling sulle distese di ricci di mare. Ne preleviamo alcuni da gustare a riva. Ecco ancora uno e poi abbiamo finito. «Che dolore!» Un urlo muto sott’acqua!
I processi spinosi del riccio si sono conficcati nella mano. Le punte nere degli aculei lunghi e sottili incastonati nella pelle. Ogni tentativo per rimuoverli risulta vano e li rompe in frammenti più piccoli.
Qualcuno suggerisce di spalmare l’olio d’oliva sulle ferite ma anche questo rimedio fallisce.
La mia pelle cerca di conglobare in varie e puntiformi papule, ruvide al tatto, gli aculei. Una fisiologica reazione per circoscrivere i corpi estranei, bloccandoli all’interno di un «fortino sottocutaneo», costituito da cellule che successivamente cercheranno di eliminarle, sminuzzandole e/o macerandole.
Un processo infiammatorio che si manifesta ogni qualvolta un agente estraneo, come ad esempio la spina di un cactus o di un fico d’india, diventa una testa d’ariete, un attentato per la barriera cutanea.
Queste reazioni circoscritte, chiamate granulomi da corpo estraneo, mettono all’angolo l’insulto per impedire ogni ulteriore penetrazione nella cute. Una volta bloccato, l’organismo prova a macerarlo.
Il calcare degli aculei del riccio di mare sarà un pasto indigesto per la mia pelle. In questi casi è indicato applicare, direttamente sull’area interessata, una cortisonico per alcuni giorni e se è presente pus, segno d’infezione, associare anche un antibiotico, sempre in crema.
Le foto e gli aculei il mio ricordo estivo per i prossimi mesi.