Un nuovo modello di comunicazione sociale, una nuova forza divulgatrice, che arriva direttamente in casa dell’utente, trova il suo spazio in internet. Un canale diretto che, by-passando i tradizionali sistemi, crea istantanei ponti nazionali e internazionali lungo i quali è possibile divulgare informazioni, esprimere il proprio pensiero, condividere, confrontarsi e divulgare attraverso le finestre di un blog o di un social network.
Un fermento nuovo, vivace che grazie a Facebook, per la prima volta nella storia, ha decisamente contribuito all’elezione del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Una rivoluzione che in Iran ha coinvolto tanti singoli e semplici cittadini che tramite Twitter hanno fatto conoscere al mondo i soprusi e le violenze del loro Paese mentre il resto dei media teneva accesi i suoi riflettori solo sui reality, trasmissioni incantatrici che spengono l’attenzione e il senso critico individuale.
Un’informazione democratica che i singoli utenti possono bocciare o approvare, confrontare con diverse fonti per soppesare l’attendibilità e l’affidabilità dei contenuti. Eppure, questa nuova rivoluzione, che mi piace battezzare della coscienza, rischia di essere spenta in Cina, dove molti contenuti in Internet sono stati censurati, in Iran dove gli ayatollah combattono contro Twitter, a Cuba dove Yoani Sanchez tra mille difficoltà testimonia con il suo blog, ormai tradotto in circa 15 lingue in tutto il mondo, il vissuto, le sofferenze e i problemi di una generazione.
E in Italia?
Il disegno di legge Alfano, già approvato alla Camera e in esame al Senato, insidia la libertà e la pluralità della nostra informazione. Una formulazione infelice, riportata al comma 28 dell’art. 1 del suddetto disegno, impone al gestore di un sito informatico, sia esso un blog o un social network, l’obbligo di rettifica con le stesse modalità a carico del direttore delle testate giornalistiche. Il mancato adempimento di rettifica entro 48 ore comporterebbe per il responsabile del sito la condanna a una multa fino a circa 12-13.000 di euro.
L’obbligo di rettifica non deve essere confuso con la responsabilità del blogger, il quale già ora è chiamato a rispondere penalmente per eventuali reati di ingiuria, diffamazione o altro. La nuova sanzione è un furbesco tentativo per porre un bavaglio alla rete.
E’ un alibi per minare il giornalismo partecipativo, quella libertà che è partecipazione come cantava Gaber.
Praticamente, l’obbligo di rettifica impone, entro 48 ore dalla richiesta, la pubblicazione di una dichiarazione su una determinata notizia, pena una sanzione come già scritto fino alla chiusura del sito.
Dermatologia Myskin aderisce alla giornata di «rumoroso silenzio» promossa dai blogger per il 14 luglio per la libertà di informazione in rete e sottolinea l’importanza di promuovere contestualmente la cultura della responsabilità di quanto si afferma o sostiene.
Intanto, nel maggio del 2009 Freedon House declassa l’Italia a Paese semi-libero al 73 posto nella classifica mondiale dei 195 Paesi, una posizione che condividiamo con l’isola di Tonga.
Non rassegnamoci! In questo momento siamo noi i protagonisti della nostra vita, della nostra storia quotidiana, viviamola!
Vi invito a divulgare la notizia.