Le malattie dermatologiche possono essere considerate lo specchio della società odierna?
La crisi economica, definita strutturale e mondiale, può essere un rischio per nuove emergenze sanitarie e nel caso specifico dermatologiche? E’ possibile leggere attraverso i segni cutanei l’abbattimento di tutte le frontiere fisiche tra i popoli? Quali le conseguenze sulla salute di ognuno di noi? Come intervenire e gestire le epidemie?
La pelle è il biglietto da visita di ognuno; fino ad ora la civiltà dell’immagine ha proposto i canoni della bellezza esteriore, ricercata e desiderata fino a volte sfiorare il confine patologico della distorsione dell’immagine per l’ossessione di avere un corpo perfetto. Ma oggi, si registra forse un cambiamento dettato dal ritorno di patologie descritte nel capitolo delle malattie della povertà?
La scabbia, i pidocchi, le «piattole», la tubercolosi cutanea e le malattie sessualmente trasmesse quali la sifilide, la gonorrea e l’ulcera venerea sembrano ricordi del passato, del dopoguerra e, per alcune di esse, addirittura della fine dell’ottocento. Eppure, oggi ritornano e per alcune di esse, forse si può già parlare di epidemia, sebbene circoscritta in precisi focolai.
Le mutate e disagiate condizioni sociali e il silenzio o l’inadeguatezza della medicina preventiva rischiano di essere i fattori scatenanti e favorenti le epidemie, che minacciano le nostre comunità: ospedali, strutture protette, scuole, asili, gruppi di lavoro. Malattie contagiose che potrebbero innescare spirali di emergenza sanitaria che, inadeguatamente gestite, rischiamo di rincorrere invano.
Molti i soggetti e le categorie lavorative a rischio. Dietro una maschera della salute si può nascondere l’untore moderno.
La mancata informazione porta a sottovalutare il problema, ad ignorarlo, creando le condizioni ideali per la diffusione e il contagio da parte di persone ammalate – che non sono consapevoli della propria condizione o alle quali non viene diagnosticata per tempo perché ritenuta ormai una malattia del passato.
Si dice che il mondo sta cambiando – e forse è vero – ma come possiamo gestire il cambiamento e in questo caso i segnali di minaccia di nuove epidemie?
In greco il termine «epidemia» ha lo stesso significato originario di «epidemeo», ovvero soggiornare, arrivare per risiedere in un paese, identificando nel viaggiare il pericolo e il rischio di malattie. I fenomeni immigratori dal Sud al Nord, da Est ad Ovest e la moda del turismo verso luoghi esotici inesplorati hanno contribuito al ritorno di patologie che avevamo quasi dimenticato del tutto.
Secondo i dati ISTAT, gli stranieri di età superiore ai 15 anni regolarmente registrati in Italia al 1 gennaio 2005 sarebbero circa 2.000.000 ai quali aggiungere il numero imprecisato di clandestini e di tutti coloro che per vari motivi si spostano da un Paese all’altro. Le malattie della povertà hanno radici sociali note e sono diffuse nei gruppi con basso livello economico.
La promiscuità, la prostituzione, l’abbassamento delle difese immunitarie, la mancanza d’igiene, rappresentano il terreno fertile per il diffondersi sia delle malattie sessualmente trasmesse sia della scabbia, dei pidocchi e delle «piattole».
Un Paese che non sa accogliere dignitosamente gli stranieri e disabile nell’organizzare e attivare i servizi della medicina preventiva subirà l’ondata delle epidemie con enorme dispendio di risorse economiche e sociali.
Da piccolo, al calar del sole, giocavo sempre con i miei amici a biglie sul marciapiede oppure a sette pietre o a palla avvelenata e poi dopo cena, insieme ai genitori ci si ritrovava tutti quanti insieme, seduti, davanti alla porta del vicino più anziano, che non mancava mai di allietare la calura con le sue storie, i suoi racconti vissuti, ascoltati sempre con grande interesse sia dai grandi sia dai piccini.
L’anziano oratore aveva sempre lo stesso rituale: preparava la sigaretta, arrotolando sapientemente del tabacco, l’accendeva e non appena il fumo come una nuvola si diffondeva nell’aria, si apriva il sipario e iniziava la storia.
Da giovane era emigrato per lavoro in Svizzera, così come tanti altri concittadini, alcuni dei quali addirittura in Germania. Il viaggio in treno era lungo e raccontava che la prima volta al confine, fu sottoposto a visita medica e addirittura ad una radiografia del torace. Allo stesso modo tutti gli altri che come lui, avevano lasciato la natia terra in cerca di lavoro nel Paese vicino.
Tutto ciò mi sembrava eccessivo e lo confesso anche un po razzista nei confronti degli emigranti. Mi sembrava quasi che si puntasse il dito contro solo perché venivano dal Sud, un paese povero ma non per questo ammalato. Solo ora capisco appieno la finalità e l’importanza del gesto, che ha un solo nome: prevenzione.
La prevenzione sia nei confronti della persona sia nei confronti della società. Un atto che ha permesso di identificare per tempo gli ammalati di tubercolosi polmonare, di curarli, evitando il diffondersi della malattia, e poi offrire loro un lavoro.
Saremo in grado oggi di toglierci il mantello della rassegnazione e attivare una task force che veda coinvolti medici, specialisti, farmacisti, le scuole, i responsabili delle comunità, degli ospedali e l’ufficio di igiene per risolvere il problema delle malattie della povertà?
Sensibilizzare i cittadini, attivare i canali di comunicazione, adottare le linee guida sono gli strumenti comportamentali per affrontare e risolvere il problema di vecchie malattie contagiose che si aggirano sul territorio e che erroneamente si ritiene di non contrarre evitando lo scambio della mano con il prossimo, adottando comportamenti paranoici di emarginazione sociale.
Nel dopoguerra la carta e la penna e, solo per i pochi fortunati, il telefono erano il mezzo di comunicazione di una società che ha saputo far fronte alle epidemie, ma oggi ho l’impressione che una confusione di fondo fossilizzi la persona verso il non agire oppure ad improvvisare.
La comunicazione tra i professionisti che esercitano in ambito sanitario o para-sanitario e tra i medici e i pazienti è il perno dell’informazione per sensibilizzare e sottolineare quotidianamente l’importanza della prevenzione e di adottare e rispettare le regole sociali e comportamentali finalizzate ad evitare il diffondersi delle epidemie e a gestirle per risolverle.