La salute della pelle a cura di
Dermatologia Myskin

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Dermatologia Myskin

Autolesionismo: Patomimia

Con il termine patomimie cutanee si fa riferimento ad una serie di quadri dermatologici caratterizzati da lesioni autoindotte della pelle. Si tratta molto spesso di situazioni in cui la componente psicologica ed emotiva è fondamentale nel determinare la patologia. Ci collochiamo nel contesto più ampio dei comportamenti di autolesionismo, di cui si sente spesso parlare o si legge sui vari media: un fenomeno che viene descritto in crescita e che inquieta e preoccupa, coinvolgendo talvolta i più giovani e facendo sentire confusi e impotenti i genitori.

Quello che si osserva clinicamente di queste manifestazioni (il termine tecnico è Repetitive Self-Harm Syndrome – Sindrome da auto-lesionismo ripetuto) è che si tratta di azioni mirate a causare intenzionalmente un danno al proprio corpo. E’ considerata una vera e propria patologia e ci sono dei modi tipici di farsi del male: tagliandosi con una lametta, bruciandosi con una sigaretta, graffiandosi, strappandosi i capelli, sbattendo contro qualcosa, etc. Si sa che spesso riguarda gli adolescenti (l’età di esordio però si è ulteriormente abbassata, coinvolgendo anche la pre-adolescenza o tarda infanzia), ma anche gli adulti e che le donne sono statisticamente più esposte degli uomini a questi problematiche.

Fattori di Rischio per l’autolesionismo

Sono fattori di rischio generali la presenza di stati depressivi e l’uso/abuso di alcool o sostanze; sono specifici dell’adolescenza l’inizio dell’attività sessuale, l’essere stati testimoni di atti autolesionistici, l’avere incertezze riguardo al proprio orientamento sessuale e l’aver subito atti di bullismo: spesso si associa a disturbi del comportamento alimentare. Alcune ricerche hanno evidenziato delle caratteristiche che più frequentemente si trovano in chi attua questi comportamenti: uno spiccato perfezionismo, una bassa autostima, una marcata impulsività, difficoltà di socializzazione e una notevole difficoltà nella regolazione delle emozioni. Con quest’ultimo punto si intendono persone che hanno repentini e significativi cambiamenti dell’umore, con la compresenza di emozioni forti e contrastanti che creano confusione e difficoltà di autogestione.

Manifestazioni dell’autoelsionismo

Esistono diversi livelli di intensità per queste manifestazioni: le forme più gravi sono abbastanza rare e comprendono il procurarsi lesioni permanenti e potenzialmente molto rischiose come il fratturarsi le ossa o sfregiarsi il viso. Le forme di gravità media sono le più frequenti e comprendono il tagliarsi, bruciarsi, strapparsi i capelli, provocarsi escoriazioni in vari modi e parti del corpo.

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Poi ci sono le forme di autolesionismo indirette, in cui il danno può essere parzialmente celato e la carica autodistruttiva è perlopiù inconscia: l’abuso di sostanze e alcol, le condotte sessuali a rischio, e diversi comportamenti sintomatici sul versante del cibo e dell’immagine corporea come l’eccesso di attività fisica, le abbuffate con il vomito auto-indotto e le restrizioni alimentari estreme.

Meccanismo dell’autolesionismo

Fatto qualche accenno alle forme in cui l’autolesionismo si può manifestare, concentriamoci ora sul cercare di capire i meccanismi psico-emotivi che lo determinano. Il farsi del male è una manifestazione che rientra a pieno diritto in una categoria di comportamenti che si definiscono “agiti” o “passaggi all’atto“. Che cosa significa? Pensiamo a tutte quelle situazioni in cui si crea un conflitto dentro di noi. Nel nostro parlamento interiore c’è una maggioranza e una minoranza che si fronteggiano con forza quasi paritaria. Non si riesce ad assumere una posizione chiara e una decisione che possa pacificare la persona: per esempio ci potrebbe essere una parte di me che vuole assumersi un impegno e una responsabilità, magari perché, dopo alcuni fallimenti, desidero dimostrare finalmente il mio valore e le mie capacità. Dall’altra parte, però, ho una grande paura di fare quel passo, non me la sento proprio e al solo pensiero un forte malessere mi pervade.

Questo è un esempio fra tanti, di come si possa creare un conflitto: si genera una forte tensione interiore, un malessere che può essere molto difficile da tollerare. Le forze opposte che si fronteggiano nella coscienza portano spesso ad un blocco, che si accompagna ad un senso di fallimento, rabbia verso sé stessi, sfiducia nella possibilità di superare quella situazione. A quel punto l’agito potrebbe essere un gesto contro sé stessi, magari non estremo come un tentativo di suicidio, ma un ferirsi per esempio, procurandosi piccole lesioni in parti del corpo non immediatamente visibili. Che significato avrebbe quel gesto? Se lo potessimo chiedere direttamente alla persona non è affatto certo che saprebbe rispondere. Questa è la prima cosa che si può osservare: la natura parzialmente inconscia di questi gesti. Il vissuto di sofferenza è talmente forte che il soggetto non sopporta di esserne pienamente consapevole; nell’esempio di sopra ammettere di avere paura e di non farcela è intollerabile, troppo acuto il dolore di entrare in contatto con la propria fragilità e troppo grande e totalizzante il senso di catastrofe e fallimento. Ho fatto l’esempio di un conflitto, ma non è certo l’unico vissuto che può portare a gesti autolesivi. Spesso ci sono sensi di colpa molto forti, disprezzo e rabbia verso sé stessi che si nutrono di una bassissima autostima, desideri profondi di punirsi e colpirsi.

Le funzioni del gesto autolesivo a questo punto sono diverse. Da un lato ferirsi serve per esprimere il proprio malessere, far si che possa essere visto e notato dall’esterno.  Soprattutto in adolescenza, il tema del mostrarsi e del rendere visibile la propria sofferenza interiore è ricorrente. Certamente in questi casi si può leggere anche una richiesta di aiuto, talvolta semplicemente di attenzione: la sofferenza emotiva è connotata di invisibilità, e questo può generare ulteriore malessere per la sensazione di non vederla considerata adeguatamente,  a meno che non si traduca in qualcosa di tangibile. La pelle, questo grande palcoscenico della nostra identità, è il luogo in cui questo bisogno può trovare per eccellenza la propria soddisfazione. Talvolta il bisogno è ancora differente, potremmo dire che si tratta di dare un confine al proprio dolore. Essendo su un piano emotivo, come abbiamo detto interiore ed invisibile anche agli occhi di chi lo vive, il disagio può assumere dimensioni indefinite e sconfinate. Ferirsi, oltre a dare visibilità, serve anche a mettere un limite al proprio vissuto, vederlo circoscritto al territorio della lesione.

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Un’altra funzione del gesto autolesivo è quella di sentire il corpo, proprio attraverso il dolore. E’ molto angosciante la sensazione di non percepire distintamente la propria corporeità: si tratta di stati di forte malessere quelli in cui questo avviene, spesso associati a momenti di stress emotivo intenso o in concomitanza con patologie di tipo psichiatrico. Oppure avviene in momenti di forte depressione, in cui il dolore è un modo per sentire di essere vivi, per percepire il proprio corpo come ancora dotato di vitalità e reattività.

Ci sono, infine, tante forme medio lievi legate allo scaricare semplicemente lo stress, attraverso gesti ripetuti e abituali, che portano però nel tempo a lesioni anche importanti. Penso, per esempio, a chi si strappa i capelli o a chi si gratta.

Trattamento dell’autolesionismo

Per concludere questa piccola panoramica sulle patomimie e sull’autolesionismo si può dire che, dal punto di vista delle cure possibili, certamente si può valutare l’opportunità di una psicoterapia là dove si possa riconoscere una componente psicologica ed emotiva del problema, cioè nella maggior parte dei casi. Da valutare, a seconda della gravità delle manifestazioni, anche un supporto psicofarmacologico.

In generale la terapia avrà probabilmente come obiettivi il favorire una consapevolezza più ampia dei propri bisogni emotivi e l’identificazione di modalità più adattive di soddisfazione degli stessi. In più potrà centrarsi sul favorire una maggiore capacità di esprimere e di di gestire la propria emotività, in un percorso di maturazione che possa portare ad acquisire competenze nuove e un senso di identità più forte e solido.

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