Consigli pratici, ricette ed esperienze vissute quotidianamente da una mamma con una figlia atopica gli ingredienti dell’interessante blog dedicato alla dermatite atopica e alle allergie alimentari.
L’intervista all’autrice di mimangiolaallergia. Tante curiosità e una dolce sorpresa culinaria.
Come è nata l’idea del blog?
Un giorno mio marito mi ha detto: «Ma perché non raccogli le nostre ricette senza così quando nostra figlia sarà grande avrà un bel ricettario di mamma e papà?».
Così ho cominciato a raccogliere ricette, aneddoti sul tema e informazioni utili. Ho parlato di questa idea con alcune mamme, le quali mi hanno suggerito di aprire un blog perché tutto ciò sarebbe potuto essere interessante e utile anche per altri genitori di bambini con atopia.
In considerazione anche del fatto che navigando in rete mi sono purtroppo resa conto che allergie alimentari e dermatite atopica costituiscono per molti autori di siti e blog, nonché foodblog, rivolti squisitamente alle mamme, un pretesto per attirare il maggior numero di visitatori possibile, senza avere in merito alcuna competenza e/o esperienza specifica, col rischio di dare anche informazioni scorrette.
Così è nato mimangiolallergia, ossia uno spazio dove poter incontrare, seppure solo virtualmente, altri genitori di bambini con allergie alimentari e/o con dermatite atopica con i quali condividere non solo ricette per tutta la famiglia o per le occasioni speciali ma anche esperienze e dubbi che accomunano molti di noi e che spesso rimangono inespressi, in quanto non si hanno molte opportunità di incontro se non nelle sale d’attesa dei medici o qualche volta sulle panchine al parco senza avere l’occasione di rivedersi e di proseguire la chiacchierata, spesso di utile reciprocità.
Attenzione: non elargisco consigli e le ricette devono essere sempre verificate dal medico di riferimento, caso per caso.
La dermatite atopica può essere la causa de La stagione delle cattive madri che improvvisamente si trovano a focalizzare tutte le loro attenzioni e la loro vita, per gestire la dermatite atopica del figlio/a? Oppure i nuovi mezzi di comunicazione, mi riferisco in particolare ad internet, sono uno strumento per non sentirsi soli?
Il libro a cui Lei accenna racconta la vita di quattro madri a tempo pieno, brave, buone, impeccabili. Fino al momento in cui dicono basta, perché i figli sono cresciuti, non hanno più bisogno della loro costante presenza e sono quindi pronte per affrontare una nuova stagione della vita, in cui riprendere in mano la loro esistenza.
Una soltanto ha una figlia con problemi di apprendimento, le altre hanno figli normo-sani, quindi la scelta di rimanere a casa dal lavoro prescinde da malattie dei figli. Fattori come condizioni economiche, età della madre, contesto famigliare, professione della madre, tipo di madre che si è avuta, personalità esperienze personali, ecc. possono di per sè condizionare la scelta di tornare o meno al lavoro.
La dermatite atopica, a mio avviso non costituisce una buona ragione per annullarsi e dedicarsi unicamente alle cure del figlio, anche se molto dipende da quanto piccolo è il/la figlio/a e dalla gravità delle manifestazioni.
Riconosco, infatti, che di fronte a un bimbo con una grave dermatite atopica e con tutti i disagi che ne derivano sarebbero molte le madri che preferirebbero posticipare il rientro al lavoro.
In Germania, una madre ha un congedo parentale di tre anni per ogni figlio, indipendentemente dalle condizioni di salute e la famiglia percepisce un bonus famiglia per ogni figlio fino a 18 anni! Si tratta sempre e comunque di scelte soggettive e molto personali, difficili da giudicare senza conoscere il contesto in cui vengono operate.
Internet è come una splendida Ferrari, ma bisogna saperla guidare o si rischia di farsi molto male.
Così come una medaglia, il web presenta due facce, da un lato è una risorsa, dall’altro può rivelare insidie pericolose.
La rete può offrire buoni spunti di riflessione, ma non può e non dovrebbe mai sostituirsi, secondo me, al rapporto tra le persone, soprattutto quando si tratta di malattie.
Inoltre, sarebbe consigliabile verificare sempre le informazioni e le conoscenze trovate in rete discutendone con un medico esperto. Pur avendo io un blog, sono una navigatrice molto attenta.
Infatti, se sono alla ricerca di informazioni, vado direttamente alla fonte e consulto solo siti istituzionali perché altrimenti si rischia di ritrovarsi in una torre di Babele, dove sullo stesso argomento ognuno dice la sua con il risultato spesso di avere disinformazione e disorientamento.
Mentre per quanto concerne il sentirsi soli, non uso internet per trovare compagni di sventura ma ammetto che tramite il blog sono sorteamicizie virtuali molto belle e sincere con altri genitori che ripagano tutto lo sforzo di aggiornare il sito. Insieme a loro ci si sente una grande famiglia.
Infine, Il problema vero è che non esistono molte associazioni di genitori di bambini allergici e/o con dermatite atopica che mettono a disposizione un luogo fisico per ritrovarsi e confrontarsi
Se lei fosse un dermatologo come spiegherebbe ad una mamma la dermatite atopica appena diagnosticata al figlio/a e quali consigli pratici si sentirebbe di suggerire?
Non è facile rispondere a questa domanda perché la dermatite atopica è una patologia sulla quale ancora oggi gli studiosi si confrontano. In tutti questi anni, però grazie ai diversi colloqui con gli esperti e al decorso della malattia di nostra figlia, ho capito che la dermatite atopica è una malattia molto soggettiva, ossia sono soggettivi i fattori capaci di scatenarla (freddo intenso, caldo umido, fattori allergici, tessuti ruvidi, infezioni batteriche o virali ecc.).
Lo stesso fattore, ad esempio, può essere scatenante per un soggetto e non per un altro. Ci sono piccoli pazienti che migliorano al mare e peggiorano in montagna e altri che migliorano sui monti e peggiorano ai lidi!
Soggettivo è altresì il trattamento dei sintomi (a seconda della gravità delle lesioni, del disagio). Non è contagiosa (come mi hanno talvolta chiesto alcune mamme incontrate ai giardinetti).
Sostanzialmente si tratta di una infiammazione della pelle che alterna periodi di assenza a periodi di presenza. E’ di origine genetica, nel senso che viene trasmessa per via ereditaria.
L’età del soggetto influisce molto sull’entità delle manifestazioni. Nostra figlia ne è un esempio: ne ha sofferto molto nei primi mesi di vita ed è andata migliorando crescendo.
Non è sempre di origine allergica e spesso non dipende da allergie alimentari, e per questa ragione io e mio marito abbiamo sempre tenuto rigorosamente distinte allergie alimentari e dermatite atopica, affidandoci all’allergologo pediatra per le prime e al dermatologo pediatra per la seconda, ma questa è la nostra esperienza.
Non esistono farmaci che guariscono dalla dermatite atopica, bensì esistono medicinali che curano i sintomi. La dermatite atopica può regredire spontaneamente ed essere totalmente asintomatica per anni per poi ricomparire inaspettatamente dopo anni di assenza per svariati fattori, fra cui ormonali, emotivi (ad esempio un lutto, la separazione o tensioni particolarmente stressanti per il singolo individuo).
Consigli pratici? Non so se sia possibile dare suggerimenti in questo caso, perché la nostra esperienza ci ha dimostrato che ciò che funziona in un caso, non è detto che funzioni anche negli altri. L’unico suggerimento che mi viene spontaneo è di affidarsi ad un dermatologo pediatra esperto di dermatite atopica con il quale instaurare un rapporto di fiducia reciproco.
Qual è secondo Lei l’errore che il dermatologo compie nel relazionarsi con i genitori di un bambino/a atopico/a?
Non so se si possono fare generalizzazioni in merito, perché ogni medico (indipendentemente dalla specializzazione) arriva alla professione seguendo percorsi di studio e di vita molto diversi tra loro. Forse l’unico comun denominatore è che il dermatologo (ma direi in generale i medici) non sempre presta sufficiente attenzione alla qualità della relazione triangolare ossia tra il medico, i genitori e il piccolo paziente, nonché alle modalità di comunicazione e questo, in molti casi, può influire addirittura sull’esito delle terapie.
Sebbene io sia la prima a riconoscere che nemmeno tutti i genitori sono uguali e che spesso i medici hanno pochissimo tempo da dedicare alle famiglie per ascoltare prima e spiegare poi, perché attesi in corsia da decine di piccoli pazienti impazienti.
E’ un argomento molto ampio e difficile da trattare in poche righe, ma la mia esperienza con i dermatologi è stata tutto sommato positiva, a parte un caso isolato, in Germania. Si è trattato di un raro caso di arroganza, presunzione, mancanza di tatto e azzarderei di scarsa competenza.
Mi spiego meglio: ha visitato frettolosamente nostra figlia (che all’epoca aveva 6-7 mesi circa) senza mai rivolgerle una parola, un sorriso, freddo e scostante (forse pensava che il fatto di essere una bambina italiana precludesse la sua comprensione della lingua, ma si sa che i bambini ascoltano più il linguaggio del corpo che non quello verbale).
Si è dimostrato eccessivamente allarmista, per nulla disposto ad ascoltare il nostro vissuto, i nostri dubbi, in quanto in quel momento qualsiasi cosa le avessimo detto non le sarebbe stato utile saperlo perché lei vedeva nel ricovero ospedaliero l’unico modo per individuare l’origine della dermatite di nostra figlia.
Siamo ovviamente fuggiti… in Italia dove abbiamo conosciuto un dermatologo pediatra esperto di dermatite atopica, al quale, proprio perché pediatra ed esperto di dermatite atopica è stato sufficiente visitare accuratamente nostra figlia (un’ora di visita!) e raccogliere tutte le informazioni necessarie al fine di stabilire come procedere nel suo caso particolare.
La situazione era medio grave, si sarebbe trattato di tentare una terapia e vederne gli effetti (che si sono rivelati positivi anche nel lungo periodo). Nostra figlia ha assistito a un colloquio rilassato, professionale, senza tensioni, di rispetto reciproco, è stata coinvolta facendola sentire a suo agio.
Le mense scolastiche e, in generale, la scuola, sono sufficientemente preparate nei confronti delle allergie alimentari e della dermatite atopica?
No. Sul fronte allergie alimentari non basta erogare pasti andando per eliminazione perché nel caso di pluriallergie si rischia di pervenire ad un risultato molto scadente sia sul piano nutrizionale sia su quello del gusto.
A questo si aggiunga la spinosa questione delle responsabilità sulla gestione del pasto, dall’azienda erogatrice all’istituto scolastico. Inoltre, difficilmente ci sono insegnanti preparati e autorizzati a gestire le emergenze in caso di reazioni allergiche.
Mi rendo conto che è una problematica molto articolata e complessa, a cui non è facile trovare soluzioni che accontentino tutti, ma sarebbe auspicabile che la tematica venisse trattata in modo più standardizzato, al fine di stabilire delle linee guida nazionali valide su tutto il territorio nazionale, responsabilizzando tutti coloro che intervengono nelle diverse fasi. Sarebbe interessante sapere come si comportano i nostri vicini europei (svizzeri, francesi in particolar modo), anche se forse non servirebbe molto saperlo, poiché noi italiani siamo un pò come quegli scolari un pò imbranati che non sanno copiare e commettono errori di copiatura peggiori dell’errore stesso.
Sul fronte della dermatite atopica il corpo insegnante è assolutamente impreparato e talvolta fatica ad accettare certe richieste percepite come un pò strane o esagerate.
Fortunatamente non è il nostro caso, in quanto la maestra dell’asilo e la direttrice si sono dimostrate sempre molto comprensive e disponibili. Esempio banale: abbiamo richiesto che A. non sedesse vicino ad un calorifero (il calore eccessivo può scatenare prurito) oppure di ricordarle di incremarsi le mani prima di svolgere certe attività. Il dialogo genitori-insegnanti in questo caso è fondamentale.
Nella sua presentazione ha scritto Paese che vai, usanze che trovi. Ci potrebbe spiegare meglio alcune differenze culturali nei confronti delle allergie alimentari e/o della dermatite atopica?
L’ideale sarebbe potersi sempre confrontare con genitori e medici di altri Paesi, non solo europei, ma anche oltre Oceano, per scoprire che non esiste un unico modo possibile di vivere e risolvere i problemi, senza però creare dei miti, perché non direi che un Paese affronti meglio di un altro allergie alimentari e dermatite atopica. Le differenze sono molteplici, e spaziano dall’aspetto dell’alimentazione, all’ aspetto della cura, fino all’aspetto prettamente economico.
Il primo esempio che mi sovviene è la credenza dominante in Italia, come nel resto dell’Europa, che il latte vaccino sia indispensabile per una corretta crescita del bambino e per le ossa delle donne. Vivendo in Germania, dove nostra figlia è nata e cresciuta per qualche anno, ho avuto modo di conoscere molte mamme giapponesi che sorridevano di fronte a questi timori, spiegandomi che in Giappone il consumo di latte vaccino e dei suoi derivati sarebbe iniziato solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, e che le principali fonti di calcio sono di tipo vegetale e ittico. Eppure i giapponesi non hanno sofferto, e non soffrono, più di altre popolazioni di osteoporosi. Pensiamo anche all’Africa, dove mi risulta che la stragrande maggioranza della popolazione è intollerante al lattosio, sebbene l’incidenza dell’osteoporosi non sia maggiore rispetto ad altre realtà anzi ci sono studi clinici che dimostrano che l’incidenza della frattura al femore è maggiore proprio nei Paesi che sono considerati i maggiori consumatori di latte bovino e derivati.
Sotto il profilo economico, mi aveva stupito scoprire che in Germania la sola intolleranza al lattosio era di per sè un requisito sufficiente per richiedere l’invalidità anche nel caso di bambini, il che significava diventare degli aventi diritto a deduzioni fiscali (non so se questa informazione sia ancora attuale sono passati diversi anni ormai da quando siamo rientrati in Italia).
Sul fronte, invece, della dermatite atopica, il discorso è più complesso. Pensando alla Germania, forse, la differenza più macroscopica è l’accettazione generalizzata da parte dei pazienti del fatto che questa malattia può richiedere un trattamento non solo farmacologico (o omeopatico, in quanto in Germania l’omeopatia è consolidata quanto la farmacologia), ma magari anche psicologico.
Infine, per quanto riguarda le terapie, non mi sento di fare generalizzazioni, perché molto dipende dai medici che si incontrano, indipendentemente dall’appartenenza geografica.
Qual è il suo rapporto con il cortisone topico, largamente indicato nelle fasi acute della dermatite atopica?
Lo stesso che ho con tutti i farmaci, ossia vi ricorro il meno possibile, e solo in casi indispensabili. Sono consapevole che cura il sintomo, ma non guarisce dalla malattia, che invece può scomparire spontaneamente. So anche che se usato male, può fare danni, ma del resto come qualunque altro medicinale e per questa ragione l’ho usato con nostra figlia solo quando è stato prescritto da un medico esperto, attenendomi scrupolosamente alle indicazioni fornitemi in merito a dosaggi (non tutti i medici, purtroppo insegnano ad usarlo), tempi di trattamento, modalità di applicazione nonché di sospensione.
Come gestisce la fase acuta della dermatite atopica di sua figlia?
Fortunatamente il tempo delle fasi acute è solo un ricordo. Oggi parliamo di pochissimi episodi che si contano sulle dita di una mano, dovuti per lo più a malattie infettive virali, soggiorni invernali in montagna, frequentazioni prolungate della piscina (che frequenta per altro da marzo dello scorso anno, e che prima evitavamo per via delle lesioni e per il rischio di sovra infezioni cutanee), e comunque le zone colpite sono circoscritte alle mani, alle guance, raramente alle pieghe delle ginocchia o natiche, che spesso regrediscono trattandole tempestivamente con una crema a base di ossido di zinco preparata dal farmacista su ricetta medica.
In ogni caso, non mi sono mai affidata al fai da te ma mi sono sempre attenuta alle indicazioni del dermatologo pediatra che nelle fasi acute aveva prescritto a nostra figlia (aveva all’epoca 8 mesi) fermenti lattici, bagnetto quotidiano in acqua leggermente salata, trattamento delle lesioni con una crema al cortisone di potenza media perché l’idrocortisone non era efficace, e, non appena le condizioni della pelle lo avessero consentito, creme emollienti mattina e sera.
Preferisco però non entrare nel dettaglio, perché ogni caso è un caso a sè stante e il dermatologo personalizza sempre la terapia.
Come, invece, gestisce la fase di mantenimento della malattia, quella in cui non è presente l’eczema in fase attiva?
Presto attenzione ai potenziali fattori scatenanti (molto soggettivi per altro), onde evitare recidive, quando riesco applico un emolliente specifico per la dermatite atopica dopo il bagno o la doccia oppure una crema barriera quando andiamo in montagna, per proteggere la pelle dal freddo intenso, oppure prima di fare il bagno in piscina, o ancora prima di attività che richiedono l’uso delle mani (bricolage e simili).
Inoltre, niente saponi o detergenti generici ma solo prodotti specifici per la dermatite atopica, il meno aggressivi possibili. Le faccio indossare abiti in tessuti naturali, limitando quelli in fibra sintetica all’uso prettamente esterno, tipo giacche a vento in montagna e così via.
Quale ricetta consiglia oggi a Myskin?
Una ricetta senza latte e senza uova che vede i bambini protagonisti in cucina, facendoli godere del piacere di creare, manipolare e dare forma a qualcosa che potranno gustare da soli o in compagnia di parenti e amici, allergici e non: le Palline di cioccolato al cocco.