La salute della pelle a cura di
Dermatologia Myskin

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Macchie della pelle: cosa fare e non fare

Cosa fare quando compaiono delle macchie sulla pelle? E’ vero che se sono asintomatiche sono meno preoccupanti? La loro comparsa è sempre il segno di una malattia infettiva?

Tante le possibili risposte ma poi rimane il dubbio.

Non esistono linee guida ma è possibile stilare delle indicazioni per la loro gestione critica e consapevole.

Sono comparse delle macchie sulla pelle: che fare?

La pelle quando subisce un insulto fisico, chimico, biologico, reagisce e a volte cerca di difendersi diventando rossa, desquamando e magari sviluppando prurito in corrispondenza della macchia.

La manifestazione iniziale prende il nome di «lesione elementare primaria» mentre la sua evoluzione favorisce la comparsa delle «lesione elementare secondaria». Ad esempio la ferita è quella primaria e la crosta quella secondaria. A volte manifestazioni apparentemente simili possono riferirsi a patologie completamente differenti: malattia infettiva oppure infiammatoria.

Sospettare una micosi

E’ una malattia contagiosa che si può contrarre da un soggetto affetto, da un animale o dall’ambiente. Una o più chiazze di forma circolare oppure ovalare, finemente desquamanti e pruriginose possono destare il sospetto di micosi.

Una micosi può manifestarsi in caso di contagio:

  • «umano» – si verifica solo se è presente un contatto diretto (pelle-pelle) o indiretto (usare un asciugamano infettato precedentemente)
  • «animale» – il contatto avviene con il pelo di un animale ammalato che generalmente presenta una caduta in chiazze del pelo
  • «ambientale» – la frequentazione di palestre, piscine, e non solo, può favorire l’infezione. In questi casi, un soggetto è a rischio di contrarre la micosi, solo in caso di macerazione cutanea o di piccole ferite sulla pelle che ne alterano la funzione barriera

Non azzardare una diagnosi

L’aspetto delle macchie può essere fuorviante e a volte confondente. Ad esempio, la Pitiriasi Rosea di Gilbert in fase iniziale può essere confusa con una micosi. La prima non è infettiva, è autolimitante (guarisce da sola) e non necessita di nessun trattamento, tranne il caso in cui sia presente il prurito. La seconda, invece, necessita di antimicotici per un’adeguata guarigione. Eppure, entrambe possono avere delle chiazze apparentemente simili!

Non ricorrere all’automedicazione

I farmaci topici applicati sulla pelle vengono sempre assorbiti e possono modificare l’aspetto iniziale della macchia. Inoltre, spalmare ripetutamente pomate e creme a caso sulla pelle lesa può favorire la comparsa di dermatiti irritative da contatto o allergiche, complicando ulteriormente il quadro clinico, oltre a modificarlo.

Non usare il rimedio della nonna

Chi non ha mai ricevuto un consiglio, un rimedio casalingo per risolvere subito quello che sembra una semplice macchia della pelle? I rimedi della nonna rischiano di ritardare la diagnosi e il trattamento di una macchia che può peggiorare e complicarsi ulteriormente.

Non sottovalutare

A volte si pensa che se la macchia è asintomatica non è preoccupante ma non sempre è vero. Un melanoma in fase iniziale è sordo e muto! Eppure gioca allo scoperto sulla nostra pelle. Impariamo ad osservare la nostra pelle e soprattutto se uno dei nostri nevi aumenta di dimensioni e cambia aspetto. I nevi non sono dei tatuaggi, nascono, crescono e si modificano.

Non domandare su internet nei social network

Rappresentano un fondamentale e importantissimo mezzo di comunicazione di massa per lo scambio delle informazioni. Però la descrizione anche particolareggiata di una manifestazione cutanea per chiedere un parere agli utenti del web non è sufficiente a fornire a chi legge tutte quelle informazioni che nascono dal «vedere» e «sentire» la macchia.

Credo che, allo stato attuale dei mezzi e delle conoscenze, Internet può rappresentare un mezzo decisivo per monitorare il decorso oppure chiedere ad altri la loro esperienza sull’evoluzione della stessa malattia, ma insufficiente per formulare una diagnosi.

Consultare il medico

Decisivo. Potrà sembrare scontato ma solo la visita dal proprio medico curante, e se necessario dal proprio dermatologo di fiducia, consente di formulare una diagnosi certa. Il prurito, le lesioni da grattamento, il rossore, le croste sono tutti elementi della scena di un crimine da cogliere, interpretare e giudicare ad occhio nudo o con gli esami strumentali per formulare la diagnosi.

La pelle è l’unico organo che possiamo individualmente osservare ogni giorno. Indicare una strada di comportamento è il compito del professionista per sensibilizzare l’importanza della prevenzione.

Le macchie della pelle

Cosa sta succedendo alla mia pelle?

Vitiligine, micosi, angioma, pitiriasi versicolor, nevi… possono essere la causa dell’insorgenza delle macchie, ma indipendentemente dall’evento scatenante la loro comparsa è sempre motivo di profonda preoccupazione e angoscia.

Il termine macchia descrive un’alterazione circoscritta del colore della pelle. Può essere chiara o scura. Passando un dito sulla superficie della macchia non si avverte nessun scalino, nessuno stacco, nessun confine con la pelle normale.

La macchia, singola o multipla, può essere congenita oppure la conseguenza di un processo infiammatorio, infettivo o degenerativo. E’ compito del dermatologo formulare una diagnosi e consigliare la terapia per il trattamento specifico. Lo specialista, infatti, è in grado di osservare l’espressione morfologica della macchia, valutando la caratteristica d’insorgenza, l’aspetto iniziale, la modalità di estensione, l’evoluzione, il raggruppamento e la topografia.

Il colore può variare dal marrone al rosso al bianco. Le macchie, anche se asintomatiche, preoccupano sempre il paziente, a volte molto di più degli altri tipi di manifestazioni cutanee.

Stranamente, se la macchia è più scura rispetto al colore della pelle viene etichettata come una «voglia». Il termine, descritto nel dizionario della cultura popolare, raggruppa in maniera assolutamente aspecifica e generica tutte le possibili alterazioni piane iperpigmentate della pelle. Esistono le «voglie di caffè», «caffè-latte», «mosto di vino», «sale e pepe» e chi più ne ha più ne metta.

La macchia di colore rosso viene, invece, considerata da molti soggetti una manifestazione cutanea vascolare, tipo gli angiomi, oppure un’infiammazione. In questi casi la segnalazione, avviene generalmente per 3 motivi:

  • la macchia è presente dalla nascita e i genitori sono preoccupati per il piccolo
  • la manifestazione cutanea si accompagna ad una sintomatologia pruriginosa
  • la macchia è antiestetica

Al contrario, tutte le alterazioni di colore più chiaro rispetto a quello della pelle o addirittura bianche sono sempre motivo di enorme preoccupazione perché nell’immaginario comune sono identificate come micosi, quindi una malattia infettiva, o come spesso di sente dire «funghi».

Le macchie bianche hanno un impatto sociale enorme, soprattutto se localizzate alle mani o al viso. Il soggetto che dovesse presentare questo tipo di manifestazioni tende ad avere un atteggiamento ricurvo su sé stesso, testa bassa e mani socchiuse e sempre vicine al tronco. Le persone, invece, che notano la presenza di macchie bianche sulla pelle di un altro tirano indietro la testa ed evitano in tutti i modi l’occasione di dover stringergli la mano.

Entrambi associano la macchia bianca ad una malattia contagiosa. E’ incredibile come il colore di una macchia è in grado di dividere, allontanare le persone, di ridurre lo spazio vitale, costruendo barriere invalicabili. Il confine dermatologico che non è mai presente tra la macchia e la pelle sana diventa un confine sociale di emarginazione nei confronti di coloro che presentano qualche patologia cutanea.

Il linguaggio verbale ma soprattutto quello non verbale sono i mattoni dei muri di una società dove è sempre più importante apparire giovani, sani e belli.

La paura nei confronti delle macchie della pelle, e in particolar modo di quelle bianche, sembra essere inconscia e forse trova le sue radici nel lontano oriente, in India, dove la Lebbra, un malattia contagiosa e invalidante, è caratterizzata da modificazioni chiare del colore della pelle. In occidente basta molto meno per alimentare atteggiamenti di emarginazione sociale.

L’indicazione per tutti coloro che dovessero presentare macchie sulla pelle è di chiedere il consulto dello specialista, il quale deve spiegare al paziente l’origine e la causa della sua manifestazione, illustrando quali possano essere i fattori favorenti e/o precipitanti e indicando la terapia nell’interesse del paziente, una persona con un proprio nome e cognome e non un semplice numero.

Il controllo dei nevi e la diagnosi precoce del melanoma

L’immaginario comune identifica nel nevo qualunque macchia piana e scura della pelle. In realtà il loro aspetto clinico può variare sensibilmente sia per la morfologia, possono essere piani o rilevati, sia per la tonalità cromatica che può variare dal colore nero al marrone sino ad essere completamente o solo in parte pigmentato.

Il nevo è una manifestazione benigna la cui parola accomuna molteplici e differenti neoformazioni. Possono essere presenti fin dalla nascita («nevi congeniti») oppure comparire nel corso della vita («nevi acquisiti»). I nevi non sono dei tatuaggi ma delle entità dinamiche che nascono, crescono e si modificano fino a poter scomparire del tutto nell’anziano.

Sono neoformazioni asintomatiche che dopo un traumatismo o un’infiammazione, tipo una follicolite, possono modificare il loro aspetto e diventare pruriginosi. In questi casi è sempre indicato chiedere un consulto al proprio medico curante, il quale valuterà il quadro clinico e se necessario indirizzerà il paziente per un consulto dermatologico.

E’ buona norma sottoporre a controllo i nevi degli adulti, dei bambini, soprattutto se presenti nevi congeniti, e delle donne in gravidanza, anche in assenza di tali situazioni.

Lo specialista, oltre alla semplice visita ad occhio nudo o con una lente d’ingrandimento che consente di osservare solo la morfologia e l’aspetto esteriore della lesione, è in grado di utilizzare l’epiluminescenza per visualizzare le strutture interne e l’organizzazione architetturale tipica di ogni lesione pigmentata. Il dermatologo, esperto della metodica, è in grado di discriminare i vari tipi di macchie pigmentate della pelle, individuare quelle a rischio e di formulare il sospetto di melanoma.

La diagnosi precoce garantisce una guarigione completa e assoluta del soggetto dopo che il melanoma è stato solo e semplicemente asportato chirurgicamente in anestesia locale.

Un sistema di visualizzazione, che si avvale della tecnica dell’epiluminescenza, è di solito collegato ad un personal computer, dotato di software gestionale per eseguire l’archiviazione e la documentazione digitale dei nevi da monitorare per un follow-up oggettivo e riproducibile ai successivi controlli che il paziente dovesse eseguire dallo stesso specialista.

Correttamente utilizzata la metodica dell’epiluminescenza consente di ridurre drasticamente le asportazioni inutili di nevi che, solo se osservati ad occhio nudo, potrebbero destare sospetto perché positivi alla regola dell’ABCDE. Tale regola è sicuramente uno strumento utile per l’autovalutazione che ogni individuo dovrebbe eseguire periodicamente a domicilio dei propri nevi, così come una donna esegue l’autopalpazione del seno.

Ma l’ABCDE non può sostituire l’epiluminescenza, così come l’autopalpazione non può sostituire la mammografia. La regola ABCDE adeguatamente applicata ha un’accuratezza diagnostica solo del 50-60%, ovvero se utilizzata per diagnosticare 100 melanomi ne identifica solo 50-60! Al contrario, l’epiluminescenza nelle mani dello specialista esperto ha una percentuale decisamente superiore, pari quasi al 100%.

I nevi possono essere tranquillamente asportati, chirurgicamente o con una metodica laser, ma è corretto eseguire sempre l’esame istologico della neoformazione per confermarne la natura. Il mito che i nevi non vanno «toccati» deve essere sfatato perché non c’è nessun fondamento scientifico che la loro rimozione favorisce la degenerazione degli altri. La paura è il risultato di storie travisate di soggetti, ai quali è stato diagnosticato un melanoma in stadio avanzato, venuti a mancare perché avevano asportato un un nevo.

I nevi possono essere asportati per 3 motivi:

  • «prevenzione» – dopo adeguata indicazione del dermatologo
  • «funzionale» – se sono localizzati in aree sottoposte a continui e ripetuti traumatismi
  • «estetico»

La prevenzione dovrebbe diventare l’educazione della persona, sensibilizzata e adeguatamente informata sull’importanza della diagnosi precoce da attuare quotidianamente.

Bianco, rosso… nero: il dermografismo

Finalmente era arrivato l’ultimo giorno del V anno di liceo e tutti insieme i compagni di classe decisero di festeggiare l’evento in spiaggia, prima di immergersi nella preparazione degli esami di maturità.

La fine della scuola era coincisa con l’inizio di un amore tra due ragazzi che ora, abbracciati, erano sdraiati sui teli. Ad un certo punto, lei prese un bastoncino di legno smussato e fece come per scrivere sul dorso di lui e gli sospirò: «voglio scrivere ti amo sulla tua pelle».

Pochi minuti e proprio dove la pelle era stata sollecitata dallo sfregamento meccanico comparve una reazione eritematosa, rilevata e intensamente pruriginosa. Dapprima lo stupore per la comparsa sulla pelle di lui delle parole scritte da lei ma poi la corsa dallo specialista per capire cosa fosse successo. Il loro amore era da poco sbocciato e lui forse ne era già allergico?

Il tempo di arrivare dal medico che la reazione era già completamente scomparsa e con essa anche la sintomatologia pruriginosa. Ascoltato il racconto lo specialista prese una biro e sollecitò nuovamente il dorso del ragazzo sfregandola sulla sua pelle, che reagì allo stimolo manifestando una reazione identificata di tipo pomfoide e diagnosticata come dermografismo.

Cos’è il dermografismo?

Il dermografismo è la dimostrazione semplice e reale che la cute non è assolutamente un rivestimento inerte del nostro corpo ma è un organo a tutti gli effetti in grado di reagire a diversi stimoli, in questo caso a quelli di tipo fisico. Il termine descrive la possibilità di «scrivere sulla pelle», ovvero di favorire la comparsa di segni sulla superficie cutanea dopo aver esercitato una pressione lineare in movimento.

La reazione cutanea si manifesta solo in soggetti predisposti che presentano livelli aumentati di istaminasostanza P e VIP nel siero. Queste sostanze determinano uno stato di iperreattività della cute. Tuttavia, i meccanismi responsabili non sono stati ancora chiaramente identificati.

Il dermatografismo, è il tipo più comune di orticaria fisica, si verifica infatti in circa il 2% -5% della popolazione.

Gli stimoli fisici, in questo caso le sollecitazioni meccaniche della cute, esercitando una pressione pari a circa 36 g/mm2, favoriscono la comparsa di pomfi, rilevati anche più di 6 mm che poi regrediscono spontaneamente dopo 10-60 minuti.

Tipi di dermografismo

Il dermografismo viene clinicamente suddiviso in:

  • «bianco» – caratterizzato dalla comparsa di una reazione pomfoide definita anemica perché di colore più chiaro rispetto a quello della pelle. La vasocostrizione e la vasocompressione dei vasi sanguigni del derma sono determinati per favorirne la comparsa
  • «rosso» – se i pomfi appaiono eritematosi perché causati da una vasodilatazione
  • «nero» – se la pigmentazione dei pomfi è scura. Il fenomeno si presenta sulla pelle a contatto con gioielli e monili. L’ossido di zinco, il biossido di titanio o il talco contenuti in diversi cosmetici rimuovono quantità infinitesimali di argento o altro materiale contenuto nella bigiotteria che si deposita sulla pelle ed è responsabile della colorazione nerastra.

Alcuni studi riportano che i soggetti con dermografismo hanno un’età compresa tra i 20 e i 30 anni e rappresentano circa il 2-4% della popolazione.
Eventi stressanti come la gravidanza (comunemente nel secondo trimestre) e l’inizio della menopausa hanno visto una maggiore incidenza della malattia.
La malattia di Behçet, una condizione caratterizzata da ulcere orali e genitali, è un’altra malattia in cui il dermatografismo è un reperto tegumentario comune.

Il decorso, caratterizzato da recidive che possono essere scatenate anche dalla semplice pressione esercitata dagli indumenti come gli elastici delle calze, degli slip o del reggiseno, può durare diversi anni.

Il 22% dei soggetti con dermografismo può avere una durata della malattia superiore a 5 anni mentre il 10% di loro superiore anche a 10 anni.

Trattamento del dermografismo

Le misure generali mirano ad evitare gli stimoli che scatenano attacchi di prurito, ove possibile. Per esempio:

  • Scegliere abiti comodi e larghi
  • Evitare l’esposizione ad acqua molto calda
  • Asciugare delicatamente dopo il bagno

Gli antistaminici di solito danno un buon sollievo dai sintomi. Le opzioni non sedative includono:

  • cetirizina
  • loratadina
  • Fexofenadine.

Gli antistaminici dovrebbero essere assunti ogni giorno per diversi mesi; la terapia intermittente è meno efficace.

I casi resistenti possono trovare utile la fototerapia. tuttavia la maggior parte dei pazienti recidiva entro 2 o 3 mesi dal completamento della terapia.

Il trattamento mediante integrazione con vitamina C , 1000 mg al giorno, aiuta a degradare l’istamina e aumentare la sua rimozione, diminuendo la tripla risposta di Lewis.

In conclusione

Il dermografismo è una manifestazione assolutamente benigna, rappresenta la forma più frequente delle orticarie fisiche, nota anche con il nome di orticaria factitia o dermografica, e può associarsi a malattie come il diabete, mastocitosi, sindorme ipereosinofila e patologie della tiroide. Importante la terapia sintomatica ma fondamentale evitare il più possibile i fattori precipitanti la manifestazione cutanea.

La Psoriasi: ieri, oggi e domani

Il 3-4% della popolazione nel mondo è affetto da psoriasi, una malattia definita infiammatoria, cronica, recidivante e immunomediata che oltre alle manifestazioni cutanee, a quelle degli annessi e raramente delle mucose in circa il 6-30% dei casi può interessare le articolazioni, le inserzioni tendinee, quelle legamentose e le ossa.

La psoriasi è una malattia complessa caratterizzata da un polimorfismo clinico cutaneo, da una patogenesi multifattoriale e da un’alterazione del sistema immunologico e delle citochine che fanno rientrare la malattia nel gruppo delle IMIDs – immuno-mediated inflammatory diseases – cui appartengono anche il morbo di Crohn, l’artrite reumatoide, il diabete mellito di tipo 1, il lupus eritematoso sistemico, la sclerosi multipla, la spondilite anchilosante e l’uveite.

Già nell’antichità quando le malattie maggiormente osservate erano quelle dermatologiche, sebbene le diverse condizioni cliniche come quelle infettive e contagiose non venissero chiaramente distinte tra loro, si tentò di descriverle e secondo alcuni autori segnalazioni riguardanti la psoriasi comparirebbero in alcuni papiri egiziani e in diversi libri dell’Antico Testamento. Una delle piaghe dell’Egitto o di Giobbe oppure le antiche prescrizioni comportamentali per alcune malattie della pelle riportate nel Levitico presentano similitudini con l’attuale definizione di psoriasi.

La psoriasi potrebbe essere stata descritta anche da Ippocrate (460-379 a.C.) nella sua trattazione sulle malattie desquamative, mentre il termine «psora» fu usato per la prima volta da Claudio Galeno (129-199 d.C.).

Quello che è certo che fin da allora i pazienti affetti da psoriasi venivano isolati e addirittura nel Medioevo perseguitati oppure messi al rogo perché si pensava che la malattia fosse contagiosa. La confusione continuò fino alla metà dell’800, quando il dermatologo austriaco Ferdinand Ritter von Hebra, fondatore della Nuova Scuola Viennese di Dermatologia, che divenne il punto di riferimento della Dermatologia moderna, descrisse chiaramente e distinse varie malattie nel suo lavoro principale Atlas der Hautkrankeiten.

A tutt’oggi, sebbene i roghi sembrino confinati solo ai libri di storia, il paziente affetto da psoriasi rischia di vivere la stessa diffidenza e indifferenza quotidiana esattamente come nel Medioevo. La psoriasi non è una malattia mortale ma possono esserlo i suoi effetti. Diversi lavori in letteratura segnalano che la malattia può essere causa di bassa autostima, depressione, rischio di obesità, dipendenza da alcol fino ad aumentare il rischio di suicidio. Il disagio psicologico è amplificato quando si verificano episodi di repulsione sociale, lavorativa ed affettiva.

Il 29 ottobre è la giornata mondiale della psoriasi che vede coinvolte 50 nazioni in tutto il mondo con l’intento di sostenere e diffondere l’informazione su una malattia che interessa circa 130 milioni di persone.

La psoriasi oltre ad essere una patologia cronica e in alcuni casi invalidante può associarsi ad altre manifestazioni sistemiche, comprese quelle dismetaboliche quali il diabete mellito e quelle psicologiche di tipo ansioso e depressivo. Pertanto, accanto alle tradizionali e consolidate terapie e a quelle attuali dei farmaci biologici e a quelle future (MicroRNAs?), finalizzate alla cura della malattia, è fondamentale un approccio rivolto alla centralità della persona.

Se oggi sappiamo che il 50% dei malati di psoriasi può avere una remissione della malattia e che questa nel 40% dei casi è completa, già da domani nel 100% dei casi ci deve essere da parte di tutti la consapevolezza e la volontà intellettuale di correggere alcuni comportamenti socialiche hanno radici solo nella disinformazione.

Dopo la caccia alla streghe sarebbe appagante se il 29 ottobre fosse ricordato nelle pagine dei libri di storia come la presa di coscienza della società civile sui pregiudizi ingiustificati del passato.

La Spiura… della scabbia

«Spiura»… ma che cosa è? si chiedeva ripassando a mente tutti i libri sui quali aveva sudato e studiato negli anni di università.

Il turista emiliano in vacanza sulle coste salentine si era spogliato e, dimenando le braccia, enfatizzava in tutti i modi il suo disagio.

Il dermatologo lo visitava e chiamava a rapporto tutta la sua buona volontà per cercare di capire cosa volesse comunicare quel vecchietto che non spiaccicava una parola di italiano e lamentava in stretto dialetto: «A-i-ho la spiura, dùtor!».

Forse voleva dire paura, o forse voleva dire calura vista la stagione estiva… chi lo sa? Così provò ad iniziare un’anamnesi a risposte si o no. Alla domanda ha prurito? il vecchietto lo guardò un po’ risentito, gli occhi fuori dalle orbite e scandì lentamente: «Sgnor dùtor: A-I-HO LA SPIURA!!!»

Tutto chiaro, allora: il paziente aveva prurito e dal tono della voce, dal gesticolare doveva essere un prurito veramente intenso. L’osservazione della pelle evidenziava chiari segni di grattamento e anche durante la visita il vecchietto continuava a grattarsi forsennatamente, soprattutto la notte, riferiva.

Ma da cosa, o meglio da chi era provocato visto che con l’automedicazione non si era risolto nulla? Neanche gli antistaminici assunti ne’ i topici a base di steroidi applicati sulla pelle avevano attenuato la sintomatologia e migliorato il quadro clinico.

Un sospetto: prelevato un campione di squame cutanee e allestito un vetrino, l’esame al microscopio ottico evidenziava chiaramente il colpevole: il Sarcoptes Scabiei variante Hominis, l’acaro della scabbia.

Il parassita si era insidiato nella sua pelle, soggiornandovi e riproducendosi gioiosamente: l’esame al microscopio ottico aveva evidenziato anche la presenza di numerose uova.

Dopo aver spiegato la terapia, il dottore si scusò per non aver capito subito che la «spiura» altro non era che il prurito. In un italiano perfetto e con un sorriso soddisfatto l’arzillo vecchietto rispose: «non si preoccupi: Nessuno siam perfetti, ognuno c’ha i suoi difetti!»

Per un pugno di… ceci

«Un popolo senza storia è come un albero senza radici». La mamma lo ripeteva sempre facendo sua quella frase che aveva letto da qualche parte ma non ricordava più dove e nemmeno chi l’avesse detta. Con quella frase la mamma ribadiva ogni giorno a sua figlia l’importanza dell’esperienza dei «vecchi», vissuta e maturata sulla propria pelle e tutt’ora attuale in un mondo in cui gli affetti familiari faticano a trovare posto a sedere insieme intorno al focolare domestico.

Il tono della sua voce chiaro e altisonante faceva credere che forse la mamma aveva proprio ragione. E fu così che quella volta, la ragazza dopo aver notato la comparsa di alcune papule sul dito della mano sinistra le fece vedere a sua madre, la quale senza esitazione e prontamente indicava il rimedio della nonna – applicare sui porri il latte bianco e fresco del frutto del fico.

Fortunatamente, un grande albero di fico padroneggiava il giardino di casa, piantato tanti anni addietro dal nonno, un contadino che amava far colazione al mattino con i frutti appena raccolti. La ragazza diligentemente e con perseveranza applicò il latte che gocciolava dal frutto sui porriper diversi giorni ma stranamente invece di scomparire aumentavano di dimensioni e di numero.

Per la prima volta la mamma corrugò la fronte e per un attimo pensò che tra tutti i rimedi non aveva suggerito quello adatto. Ferma davanti al volto sconsolato della figlia rovistò con le mani dentro al logoro grembiule come se volesse trovare proprio lì la soluzione. Ricordò allora che la nonna nei casi difficili faceva strisciare sulla pelle una lumaca, un mollusco che si differenzia dalla chiocciola perché priva del guscio, che, grazie alla bava che lascia dietro di sé, era in grado di cancellare i porri.

Al mattino presto dopo l’acquazzone notturno fu facile trovare l’animale guaritore e la figlia, nonostante l’idea di farlo strisciare sulle dita le facesse senso, accettò di provare il rimedio.

Dopo alcuni giorni la ragazza notò che il problema peggiorava progressivamente e per la prima volta pensò che forse doveva chiedere direttamente alla nonna, la quale appena la vide affermò: «figlia mia, se dai porri vuoi sanare un pugno di ceci nella cisterna devi lanciare». Detto, fatto.

La ragazza prelevò un pugno di ceci dalla dispensa, si avvicinò alla cisterna del giardino, aprì la botola, si mise di spalle, guardò per l’ultima volta le sue dita piene ormai di porri sorridendo al pensiero della soluzione definitiva, strinse forte il pugno per aumentare l’effetto terapeutico, chiuse gli occhi concentrandosi e lanciò i ceci nel fondo della cisterna.

Guardò con curiosità i legumi affondare uno ad uno nell’acqua limpida e notò i cerchi concentrici che dapprima piccoli diventavano progressivamente sempre più grandi fino a scomparire del tutto. Scomparvero tutti i cerchi ma non i suoi porri. Fu proprio in quell’istante di amarezza, in cui si sentiva tradita dalla tradizione secolare, che decise di rivolgersi al dermatologo.

«Verruche volgari, un’infezione virale» disse lo specialista; un virus di dimensioni pari a circa un millesimo di millimetro è riuscito a trovare le condizioni locali sulla pelle (piccole ferite) e immunologiche (mancata difesa da parte del sistema immunitario cutaneo) che gli hanno permesso di insediarsi nell’epidermide.

L’aver trascurato le prime localizzazioni ha permesso la propagazione del virus con un deciso peggioramento della manifestazione che ora richiede un trattamento medico adeguato e tempestivo.

Nasce Myskin

Oggi nasce Myskin, il portale interamente dedicato al benessere e alla salute della pelle.

La cute non è un semplice e inerte rivestimento del corpo umano ma è un organo vitale e complesso che svolge molteplici funzioni. Contribuisce alla regolazione della temperatura corporea, svolge un ruolo attivo quale sentinella immunologica contro le aggressioni fisiche (es. radiazioni ultraviolette), chimiche (es. sostanze acide) o biologiche (es. batteri, virus), si oppone alla perdita di acqua e grazie alla sua fitta rete nervosa ci consente di «sentire» il mondo che ci circonda. Le sue ricche terminazioni nervose ricevono e incontrano svariati stimoli fisici che, grazie all’interconnessione della cute con altri organi, possono far fiorire informazioni piene di vita.

La cute è anche un organo di relazione che ci fa scoprire il mondo, ci fa incontrare, conoscere, trasformando i semplici stimoli esterni in sensazioni umane, capaci di suscitare emozioni, sentimenti che facendoci venire la pelle d’oca, facendoci arrossire, comunicano il nostro stato d’animo.

La cute è un libro aperto, scritto giorno per giorno nella salute e nella malattia, dove le lettere e le parole sono sostituite da segni, accompagnati da sintomi-sensazioni, che solo dopo aver allenato l’occhio, educato la mente e aperto il cuore, immedesimandosi nel prossimo, è possibile cogliere e interpretare.

Allo stesso modo internet, pur svolgendo molteplici funzioni, è essenzialmente un importante mezzo di relazione sociale per lo scambio di informazioni.

Grazie ad internet, i singoli utenti hanno la possibilità di incastonare le informazioni, simili a piccole tessere di pietra colorate in un’opera d’arte unica e irripetibile: il mosaico dell’informazione, volano della cultura e motore ispiratore per lo sviluppo di nuove idee e invenzioni.

Con lo stesso spirito e i sogni del viaggiatore che salpa alla scoperta di nuove terre, Myskin si impegna a non perdere l’orientamento seguendo sempre la direzione della stella polare della letteratura scientifica accreditata con l’intento di divulgare un’informazione, chiara, esauriente e accessibile a tutti.

Buona navigazione.

La digestione del nevo di Sutton

È un fenomeno dovuto alla regressione di un nevo (comunemente chiamato neo) pigmentato pre-esistente, che può schiarirsi fino a scomparire del tutto. Inizialmente, compare un alone ipocromico di colore più chiaro rispetto a quello della pelle o acromico senza colore, più grande del nevo e ben delimitato. Chiamato nevo di Sutton (nevo con alone) compare in pochi giorni o settimane, più frequentemente negli adolescenti. La lesione, assolutamente benigna, può associarsi ad altre patologie dermatologiche o internistiche: vitiligine, melanoma, poliosi, Sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada, anemia perniciosa.

Il nevo di Sutton è un nevo melanocitario che compare più frequente negli adolescenti, sia di sesso femminile sia maschile, ed è localizzato elettivamente al dorso.

Nel 25-50% possono essere presenti più nevi di Sutton contemporaneamente nello stesso soggetto.

Già nel 1600 Grunewald raffigurò in una sua opera pittorica tale manifestazione, studiata solo nel 1916 da Sutton, che diede il nome alla scoperta.

All’inizio è sempre presente una neoformazione pigmentata congenita o acquisita, ovvero un nevo pigmentato, rilevato sul piano cutaneo, presente dalla nascita oppure comparso successivamente nel corso della vita.

Sebbene, non sia evidente alcun fattore scatenante, a volte un’ustione, dovuta all’intensa esposizione al sole, oppure la comparsa di un eritema (rossore) intorno al nevo possono precedere la comparsa dell’alone, che secondo alcune ipotesi sarebbe la conseguenza della distruzione da parte del sistema immunitario del soggetto dei melanociti. Il risultato: una macchia dalla forma ad anello, ben definita, simmetrica, di colore bianco uniforme con al centro il nevo.

La sua comparsa desta sempre molta preoccupazione ma la diagnosi clinica dello specialista è fondamentale per un corretto inquadramento diagnostico e per tranquillizzare il paziente o più spesso i genitori di un bambino, al quale hanno notato in pochi giorni la formazione di una macchia bianca intorno ad un nevo, localizzato al dorso, dopo l’esposizione al sole. In questi casi, il colore più scuro della pelle, dovuto all’abbronzatura sottolinea maggiormente la delimitazione dell’alone ipocromico o acromico che può assumere un colore bianco latte, mentre il nevo posto al centro può cambiare tonalità da nero, a marrone chiaro, a rosa.

Nel 50% dei casi si può osservare la scomparsa completa del nevo (fenomeno della digestione del nevo) mentre l’alone può persistere sulla pelle, oppure dopo anni scomparire, lasciando una pelle normalmente pigmentata senza alcuna cicatrice o macchia.

Posta diagnosi dermatologica di nevo di Sutton non è indicata alcuna terapia, data la benignità della manifestazione ma il corretto inquadramento diagnostico è fondamentale per escludere le eventuali patologie associate.

Il morso della cicogna

La richiesta era chiara: «consulenza dermatologica per sospetto morso della cicogna».

Per un attimo il pensiero di uno scherzo, di un pesce di aprile ma il caldo afoso di un pomeriggio estivo faceva propendere per un errore di compilazione. Così l’infermiere leggeva la richiesta e pensava: «sarà la solita puntura d’insetto!» Eppure il dubbio e la curiosità iniziavano a saltellargli nella mente accompagnati dalla frenesia di chi non sa attendere.

Ricordava allora i racconti del morso della Taranta, capace di far ballare le vittime del veleno del ragno con i passi della «Pizzica». Solo il ritmo forsennato e viscerale dei tamburelli suonati a sangue dai musicisti taumaturgici riusciva a guarire dall’estasi le vittime.

Ma questa volta, se veramente un animale innocuo come la cicogna avesse aggredito il malcapitato, quali passi di danza avrebbe dovuto improvvisare il medico per guarire il paziente? Forse dimenarsi su una gamba per imitare la posizione del volatile?

Proprio in quell’istante il dermatologo faceva entrare in studio una mamma e il suo neonato che, fin dalla nascita, presentava a livello della nuca una macchia di colore rosso vinoso.

Il medico dopo aver osservato la chiazza e visitato il piccolo tranquillizzava la mamma, spiegandole che si trattava di un’entità assolutamente benigna e molto comune nei neonati: l’angioma piano mediano della nuca. La manifestazione, dovuta essenzialmente ad una maggiore concentrazione dei vasi sanguigni della rete capillare del derma, sarebbe cresciuta nel tempo, proporzionalmente alla crescita del neonato, attenuando in parte il colore rosso vinoso.

Il dermatologo, che aveva letto la richiesta, spiegava, che l’angioma piano della nuca è conosciuto anche con il nome di «morso della cicogna» perché permetteva di riconoscere nei racconti e nelle favole quei neonati che tenuti per la nuca con il becco erano stati portati a mamma e papà come un fagotto, a differenza degli altri trovati sotto la foglia di un cavolo.

Il morso della cicogna è il nome che si ritrova nel libro di dermatologia popolare nel capitolo: le «voglie» della pelle, che identifica un gruppo eterogeneo di manifestazioni cutanee (es. la macchia di caffè, cappuccino, sale e pepe…) caratterizzate da modificazioni circoscritte del colore perché dovute ad alterazioni pigmentarie o vascolari.

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