La salute della pelle a cura di
Dermatologia Myskin

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Dermatologia Myskin

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84 congresso SIDeMaST: resoconto

Terminato il congresso SIDEMAST, mentre mi allontanavo dalla sede congressuale per tornare in albergo il motivo della canzone «L’amore insegna agli uomini» di Antonello Venditti iniziò a risuonare nella mia mente: «La notte spegnerà le luci del palco, il nostro canto e questa città, chissà se rimarrà il senso profondo del nostro incontro…» proprio mentre ripensavo al programma e ai contenuti delle sessioni scientifiche alle quali avevo partecipato.

E mentre le note si rincorrevano lentamente pensavo alle tematiche e agli argomenti che avevano suscitato il mio interesse, che avevano contribuito alla mia formazione, al mio aggiornamento professionale, per i quali era valsa la pena partecipare.

Interessanti le proposte per il trattamento degli emangiomi nei bambini con il propranololo, un farmaco appartenente ai beta bloccanti e utilizzati in compresse per normalizzare i valori di pressione arteriosa: veicolato in crema sarebbe attivo nei precursori dell’emangioma, una neoformazione vascolare presente in alcuni neonati alla nascita.

Da sottolineare le comunicazioni sulla ri-emergenza delle malattie sessualmente trasmesse negli anni 2000 con circa 1.000.000 di nuovi casi diagnosticati ogni giorno in tutto il mondo.

Non sono mancate le novità sui trattamenti laser in dermatologia, le teorie sulla patogenesi della vitiligine – patologia che colpisce l’1% della popolazione mondiale – che vedrebbe coinvolte alcune molecole epidermiche e le puntualizzazioni sugli attuali approcci terapeutici con la fototerapia e, in casi selezionati, con la chirurgica (mediante trapianto di epidermide coltivata in vitro oppure prelevata dal paziente da un’area normalmente pigmentata e innestata su quella dove è presente la macchia bianca).

Per quanto riguarda la psoriasi si è largamente parlato della bontà dei farmaci biologici ma, finalmente, anche dei loro eventi avversi, registrati nel periodo 2003-2009. Mancano, invece, a tutt’oggi risultati o studi sui possibili effetti a lungo termine. Grande risalto è stato dato alla comorbidità della psoriasi che non è e non deve essere vista solo come una malattia dermatologica.

Sono stati presentati studi multicentrici randomizzati sulla supplemetazione di vitamina D in pazienti con melanoma proprio sulla base delle recenti teorie che la vedrebbero coinvolta nella genesi di diversi tumori.

Sempre per il melanoma sono stati presentati i risultati della sperimentazione con la vaccino terapia ed è stata ancora una volta sottolineata l’importanza della prevenzione e della diagnosiprecoce.

Intanto, la canzone giungeva al termine: «… chi lo sa, ma questa notte non finirà…». Infatti, chiuso il sipario del congresso, avevo scoperto un nuovo giorno, un nuovo orizzonte della dermatologia – presente in realtà da diverso tempo – che ho avuto la fortuna di conoscere, apprezzare e approfondire: il mondo delle associazioni dei pazienti.

Diversi i desk informativi delle associazioni presenti: ANANASASNPVARIVUNITIFIMR… Ho avuto l’occasione di conoscere persone meravigliose, che attivamente si dedicano all’opera di informzione e sensibilizzazione sulle malattie «rare» che interessano circa 30 milioni di persone in Europa. Persone che, tra mille difficoltà, scrivono tutti i giorni la storia delle associazioni che rappresentano, quella storia cantata da De Gregori.

In particolare, vorrei ricordare la competenza e professionalità di Flavio Minelli e la simpatia di Elisabetta Tronci di UNITI, la tenacia di Alida DePase e Nicoletta Foglio di ARIV e la grinta di Paola Zotti di FIMR.

Persone con le quali spero vivamente che, oltre alla sessione del congresso «porte aperte: i dermatologi incontrano i pazienti e le loro associazioni», si possano instaurare vere collaborazioni per aprire tante finestre in internet affinché, tutte insieme, possano diventare un’unica grande vetrata nell’interesse della persona affetta da una malattia rara.

Giunta a termine la trasferta a Firenze, sono tornato a casa con il treno Firenze-Roma e poi con la feccia argento ETR600 Roma-Lecce – che si è fermato a Bari accumulando un misero ritardo di 154 minuti! Un ritardo senza esaurienti spiegazioni, senza ristoro per i passeggeri – soprattutto per un neonato di 5 mesi – senza che fosse attuato tempestivamente un piano per risolvere l’emergenza, magari organizzando un pullman per giungere a destinazione. In tutti questi minuti del senza solo le note di un’ultima canzone riecheggiava nella mia mente e riempivano il tempo: Viva l’Italia

La zanzara vien di notte?

Nell’estate 2007 si è verificato in Emilia Romagna il primo caso europeo di focolaio di una malattia tropicale: la Chikungunya, trasmessa dalla zanzara tigre, un insetto originario del Sud-Est asiatico.

La zanzara non rappresenta più solo una semplice molestia che anima le notti bianche di famiglie assonnate, che alternano ritmi notturni di danze popolari con ciabatte percosse sulle pareti di casa a lenti e circolari movimenti diurni con spugne inumidite per rimuovere accuratamente i segni di un delitto.

L’insetto adulto della zanzara tigre ha il corpo nero con striature trasversali bianche presenti sia sulle zampe sia sull’addome e una riga bianca che dal capo si prolunga fino al dorso.

Particolarmente attivo da aprile ad ottobre, popola sia i luoghi aperti – ambienti freschi e ombreggiati, erba alta, siepi e arbusti – sia le nostre abitazioni.

La zanzara tigre è molto aggressiva e a differenza delle comuni zanzare punge anche in pieno giorno. Il bersaglio? Tutte le aree scoperte del corpo in particolare gambe e caviglie dove compaiono, immediatamente dopo la puntura, piccole papule (gonfiori localizzati) intensamente pruriginose. Attratta dagli indumenti scuri e dai profumi è in grado di pungere anche attraverso la stoffa di abiti leggeri.

Giunta in Italia a partire dagli anni 90, a seguito dell’importazione di copertoni usati contenenti larve d’insetto, è stabilmente insediata su tutto il nostro territorio dal 1994 e condiziona la vivibilità degli spazi aperti e delle aree pubbliche come scuole, asili, ospedali e strutture per anziani.

Come difendersi dalla zanzara tigre?

E’ possibile impedire la proliferazione e la diffusione della zanzara tigre e di conseguenza prevenire la trasmissione di malattie con interventi coordinati e simultanei delle amministrazioni comunali e del singolo cittadino, focalizzati ad interferire con il ciclo vitale dell’insetto. In particolare è importante evitare i ristagni d’acqua e dove ciò non fosse possibile usare periodicamente i prodotti larvicidi.

La zanzara tigre, infatti, depone le uova in contenitori in cui è presente acqua stagnante e, al momento della schiusa delle uova, l’insetto ha bisogno di un piccolissima quantità d’acqua per trasformarsi in adulto.

Consigli per evitare la proliferazione della zanzara tigre:

  • eliminare i sottovasi
  • controllare le grondaie e mantenerle pulite
  • pulire fontane e vasche ornamentali, eventualmente introducendo pesci rossi, predatori ghiottissimi delle larve di zanzara tigre
  • svuotare e pulire frequentemente ciotole e abbeveratoi d’acqua degli animali domestici
  • svuotare l’acqua delle piscine gonfiabili e dei giochi presenti in giardino.
  • coprire cisterne e contenitori utilizzati per la raccolta dell’acqua piovana.
  • pulire periodicamente i vasi portafiori presenti nei cimiteri. In caso di fiori sintetici, inserire sul fondo del vaso un po’ di sabbia per assorbire gli accidentali ristagni di acqua
  • pulire accuratamente i tombini e le zone di scolo.

In commercio esistono prodotti larvicidi liquidi, in pastiglie o in granuli da usare periodicamente in tutti i casi in cui non è possibile intervenire per rimuovere l’acqua stagnante.

Infine, oltre alla bonifica ambientale è indicato:

  • usare diffusori di insetticidi negli ambienti chiusi, con moderazione e rispettando dosi e modalità d’impiego per un uso sicuro
  • utilizzare repellenti sulla pelle e sugli abiti, prestando attenzione affinché il prodotto acquistato possa essere utilizzato anche nei bambini e nelle donne in gravidanza

Chikungunya: come sospettarla?

La malattia è dovuta ad un virus e la trasmissione da una persona ad un’altra avviene solo attraverso la zanzara tigre, la quale deve pungere prima un soggetto già ammalato, che presenta dunque il virus nel proprio sangue. Dopo alcuni giorni, il virus si moltiplica nella zanzara e, quando questa punge una persona sana, la infetta.

Se siamo stati esposti al rischio di punture da zanzara tigre e nei giorni successivi compaiono sintomi simili a quelli influenzali accompagnati da forti dolori articolari ed eventualmente manifestazioni cutanee diffuse su tutto il corpo è indicato chiedere il consulto del proprio medico curante o del dermatologo.

Consigli per chi viaggia

Il virus della Chikungunya è presente in Africa, Sud-est dell’Asia, India. Inoltre, la zanzara tigre potrebbe essere il vettore di un’altra malattia virale: la Dengue. Quest’ultima è diffusa in America centrale, e Sud America. Per ridurre drasticamente il rischio dell’infezione si suggerisce di:

  • portare repellenti contro gli insetti
  • indossare vestiti di colore chiaro, camicie a maniche lunghe, pantaloni lunghi
  • soggiornare in ambienti provvisti di climatizzazione
  • utilizzare diffusori insetticidi negli ambienti chiusi, sempre con moderazione e seguendo le modalità d’impiego per un uso sicuro

Infine, al rientro del viaggio, se si dovessero manifestare i sintomi descritti consultare immediatamente un medico segnalando il Paese da cui si proviene.

Sole: i consigli di Myskin

Estate: voglia di mare, montagna ma soprattutto di sole. Piacevole e rilassante l’esposizione ai raggi solari perché ci fa sentire bene con noi stessi e con gli altri in quanto stimola la produzione di endorfine. E poi, la nostra pelle dorata ci fa sentire attraenti e ci fa dimenticare il grigiore dell’inverno passato.

Eppure, una errata esposizione senza le dovute precauzioni può favorire l’insorgenza di scottature ed eritemi, fattori di rischio per l’insorgenza dei tumori della pelle, in particolare del melanoma, e dell’invecchiamento cutaneo precoce.

Ben tornato sole! Ben arrivata estate!

i 5 consigli di Myskin per una sana e corretta foto-esposizione:

  • Filtro solare – applicarlo prima dell’esposizione al sole e rinnovare l’applicazione di frequente, almeno ogni due ore e soprattutto dopo il bagno.Lo schermante solare deve essere applicato su tutta la superficie del corpo durante qualunque attività all’aria aperta: canottaggio, nuoto, corsa, passeggiata in bici, ecc.Per un’adeguata protezione, scegliere un filtro solare in base all’individuale predisposizione alla scottatura. I soggetti che tendono a scottarsi facilmente dovrebbero usare una protezione molto alta.Infine, il filtro solare deve essere applicato anche quando la pelle è abbronzata, eventualmente riducendo il fattore di protezione.
  • Esposizione al sole – evitare le ore centrali della giornata dalle 11.00 alle 16.00 perché è massimo l’irraggiamento del sole sulla terra e aumenta drasticamente il rischio di incorrere in scottature ed eritemi solari. All’inizio non prendere più di un’ora di sole al giorno.Proteggere adeguatamente i bambini applicando sulla loro delicata pelle filtri solari con protezione molto alta. Inoltre, non esporre al sole i bambini di età inferiore ai tre anni.Attenzione alle condizione climatiche che alterano la percezione dell’esposizione al sole e di conseguenza del pericolo. Ad esempio, in presenza di cielo nuvoloso le nuvole filtrano e bloccano i raggi infrarossi che ci fanno percepire la sensazione di caldo mentre i raggi UV pericolosi per la nostra pelle colpiscono ugualmente la nostra cute. Attenzione alle superfici riflettenti come quella del mare o della neve perché riflettendo i raggi UV aumentano anche del 90% la loro quota incidente sulla pelle! Attenzione all’altitudine perché l’irraggiamento solare in collina e in montagna è superiore a quello in spiaggia.
  • Abbigliamento – Indossare sempre occhiali da sole, un cappello a tesa larga e indumenti di cotone perché protegge più del sintetico oppure scegliere tessuti caratterizzati da fibre trattate per resistere agli raggi ultravioletti.Attenzione: il cotone bagnato non protegge più dai raggi solari. Inoltre, bagnare la pelle predispone alle scottature perché l’effetto specchio delle gocce d’acqua presenti sulla pelle favorisce i colpi di sole e riduce l’efficacia delle protezioni.
  • Dieta – Un’alimentazione ricca di antiossidanti e carotenoidi, soprattutto quelli presenti in frutta e verdura fresca, contrasta l’azione dei radicali liberi causati dall’esposizione al sole responsabili migliorando la salute della pelle. Bere acqua e succhi di frutta mantiene l’idratazione negli adulti ma soprattutto nei bambini.
  • Idratazione – La salinità del mare e l’esposizione al sole possono rovinare la texture della pelle, ovvero la levigatezza cutanea. Dopo la doccia è utile applicare cosmetici idratanti non occlusivi i cui principi attivi permeando l’epidermide aiutano a ripristinare lo stato più esterno della pelle.

Semplici indicazioni per uno stile di vita perseverante nei confronti della prevenzione e responsabile verso la propria salute della pelle.

Buon sole a tutti!

L’Aloe vera e la dermatologia

Estate: tempo di relax, di settimana enigmistica, indovinelli e giochi di logica sotto l’ombrellone: che cosa è il papiro di Ebers e cosa ha in comune con un farmacista texano di nome Bill Coats, oppure con Nippur, una città della Mesopotamia?

La soluzione è l’Aloe vera una pianta succulenta della famiglia delle Aloeacee, le cui foglie sono descritte «simili a fodere di coltelli» in una vecchia incisione ritrovata su una tavola di argilla sumera, databile intorno al 2000 avanti Cristo e ritrovata a Nippur.

La famiglia dell’Aloe comprende oltre 400 specie diverse ma la più famosa, nota fin dalla notte dei tempi è la L’Aloe vera Linne, conosciuta anche come Aloe barbadensis Miller dal nome delle Isole Barbados dove nasce e cresce rigogliosa. La pianta predilige il clima caldo e secco e i terreni aridi e rocciosi. Proprio per questi motivi è possibile ritrovarla anche in diversi paesi del Mediterraneo.

Il termine Aloe deriva dall’arabo «Alloch» e significa lucido con chiaro riferimento al gel trasparente presente all’interno delle foglie, protetto esternamente da una struttura verde coriacea come a custodire una bene prezioso naturale, utilizzato dai Sumeri, dagli Egiziani, dai Romani dai Greci e conosciuta in tutto il mondo antico e moderno sia ad oriente sia ad occidente.

Diverse le testimonianze storiche che decantano le virtù dell’Aloe, battezzata «pianta dell’immortalità» (1550 avanti Cristo – papiro di Ebers), «elisir di Gerusalemme», «giglio del deserto», «fontana della giovinezza», ecc.

Una pianta che, per le sue virtù, fu utilizzata in campo medico dal greco Dioscoride (41-68 avanti Cristo) per il trattamento di patologie interne ed esterne. Una pianta che ha saputo farsi notare e apprezzare forse perché sopravvive, grazie alla capacità delle sue foglie di trattenere l’umidità, in luoghi dove altre morirebbero. Ed è proprio il succo fresco estratto dalle foglie la sua ricchezza.

Proprietà medicinali dell’Aloe vera

Ma le proprietà medicinali dell’Aloe vera sono reali? Quali sono i sui principi attivi?

Esternamente le foglie contengono antrachinoni, il cui costituente principale è l’aloina, che hanno un potente effetto lassativo e irritativo del colon e forse anche abortivo se assunto in gravidanza.

Invece, il gel presente all’interno delle foglie contiene glucomannani, una classe di zuccheri complessi tra cui spicca l’acemannano con azione anti-infiammatoria, lenitiva e idratante e dermo-protettiva. Sempre nel gel sono presenti altre sostanze: sali minerali, vitamine, aminoacidi, acidi organici, fosfolipidi, enzimi, lignine e saponine.

Il succo estratto dall’Aloe veniva consumato fresco per evitarne l’ossidazione e la fermentazione fino al 1959, quando il farmacista Bill Coats ideò un processo con il quale, garantendo le proprietà terapeutiche dei principi contenuti nel gel trasparente, stabilizzò la polpa. Un procedimento che favorì la commercializzazione dell’aloe.

Applicazioni in dermatologia

Il successo popolare è stato oggetto di diverse ricerche scientifiche e di recente sono stati analizzati 40 studi per valutare gli esperimenti in vitro e in vivo e gli studi clinici che hanno testato le preparazioni contenenti aloe vera impiegati in dermatologia.

In particolare, sono emersi due risultati interessanti e promettenti per diverse applicazioni dermatologiche.

L’estratto di Aloe vera, opportunamente processato, può essere usato come veicolo per la somministrazione topica di diversi farmaci quali gli antimicotici per favorire un maggiore assorbimento dei principi attivi attraverso la cute, oppure potrebbe essere usata nella terapia fotodinamica di alcuni tipi di tumore di pelle.

Inoltre, sono emersi dati che segnalano l’efficacia dell’Aloe vera per lenire la sintomatologia dovuta all’Herpes genitale, per migliorare le placche di psoriasi, le manifestazioni della dermatite seborroica, del lichen planus, della stomatite aftosa. Infine, potrebbe essere usata anche per favorire la cicatrizzazione e la guarigione della pelle ustionata.

Un mito che pian piano si sta facendo apprezzare anche dal mondo accademico.

Quando nasce un tumore?

Quali sono i fattori che danno origine allo sviluppo dei tumori? Le mutazioni genetiche sono le basi delle teorie attuali ma Cedric Garland, un epidemiologo, ha proposto una nuova teoria e un nuovo modello, detto DINOMIT.

Un difetto di comunicazione tra le cellule sarebbe il momento iniziale di un’anarchia responsabile dello sviluppo della neoplasia maligna. Normalmente, tutte le cellule sono adese le une alle altre e comunicano tra di loro attraverso specifiche molecole chimiche. Un’armonia e un ordine che si incrinerebbe in presenza di bassi livelli di vitamina D e di Calcio.

Sono oltre 200 gli studi epidemiologici e 2500 le ricerche che hanno indagato la correlazione tra vitamina D e alcuni tipi di tumore. Lo stesso Garland ha studiato negli ultimi vent’anni diversi articoli sulla vitamina D per la prevenzione del tumore alla mammella, al colon, al rene e alle ovaie.

La carenza o bassi livelli di vitamina D determinerebbero la perdita di adesività delle cellule che si allontanerebbero tra di loro, diventando incapaci ad inviare e a ricevere segnali di comunicazione. Un perdita relazionale che cancellerebbe l’identità di una normale cellula, che regredirebbe in uno stadio simile a quello delle cellule staminali, condizione favorente lo sviluppo di quelle tumorali.

Dinomit è solo un modello, una nuova ipotesi che, se dimostrata, potrebbe aiutare a prevenire lo sviluppo di alcuni tumori ristabilendo i valori di vitamina D.

Sono continue e costanti le ricerche sul cancro, nota dolente e stonata della nostra vita quotidiana sia affettiva sia professionale.

Una nota stonata sulla quale non deve mai calare il sipario. La nostra attenzione alla prevenzione e alla sensibilizzazione, anche nelle sconfitte mediche contro questo male, deve aiutare ognuno di noi a guardare avanti per intravedere la fine di questa malattia, ma solo se con la ricerca si riuscirà a comprenderne l’inizio.

Vivere con l’ittiosi

Il 20 e 21 giugno prossimo si svolgerà a Roma il convegno nazionale di UNITI, l’associazione dei pazienti con ittiosi, una patologia sconosciuta a molti, ma a volte molto invalidante per la persona, sia a livello fisico sia psicologico.

Scrivere ittiosi è come scrivere psoriasi, ovvero una sola parola per raggruppare una varietà di manifestazioni cliniche, tutte congenite. Infatti, le ittiosi fanno parte del capitolo della dermatologia che descrive le genodermatosi, le malattie dermatologiche caratterizzate da un preciso difetto genetico.

Semplificando molto, se volessi fare un paragone, potrei scrivere che nella psoriasi è presente un’accelerazione nella replicazione della pelle che velocemente si rinnova e desquama mentre nelle ittiosi il ricambio, il rinnovamento della pelle, segue un ritmo sostanzialmente normale, simile a quello di una persona sana, ma è difficoltosa la desquamazione.

In altre parole, i soggetti con ittiosi faticano ad eliminare le cellule morte dell’epidermide, quelle che ognuno di noi lascia tra le lenzuola del letto, tanto amate dagli acari della polvere…

Proprio per questo motivo la pelle delle persone con ittiosi presenta un aspetto squamoso, simile alle scaglie del pesce, da cui deriva il nome della malattia (dal greco ichthys – pesce).

Le varianti cliniche dell’ittiosi

Le varianti cliniche sono molteplici:

  • ittiosi volgare – è la forma clinica più comune, si manifesta dopo il primo trimestre di vita con la presenza di squame fini e biancastre, localizzate al viso, al tronco e alle superfici estensorie degli arti. Tende a migliorare d’estate e nell’età adulta
  • ittiosi X linked – dovuta ad un difetto genetico presente sul cromosoma X e si manifesta solo nei soggetti di sesso maschile
  • ittiosi congenite non bollose – relativamente rare, si manifestano in un neonato ogni 200.000, sono caratterizzate da quadri clinici anche drammatici. Il neonato può essere avvolto da una vera e propria membrana, un involucro di pelle spessa che tende a staccarsi nei giorni seguenti la nascita. Successivamente, i neonati presentano una pelle eritematosa e sono quasi sempre presenti alterazioni a carico delle unghie. Il feto arlecchino è la forma più grave di ittiosi congenita non bollosa, in cui il neonato è avvolto da una corazza di pelle spessa, priva di elasticità che comprime l’addome e il torace del piccolo, letale già nei primi giorni di vita. Il drammatico quadro clinico neonatale si completa con particolari malformazioni a carico dei bulbi oculari e delle labbra.
  • eritrodermia ittiosiforme bollosa congenita – molto rara, si manifesta in un neonato ogni 300.000. E’ presente alla nascita un intenso e diffuso rossore su tutto il corpo, poi compaiono delle bolle che rompendosi favoriscono la formazione di erosioni della pelle. Infine, nel corso della vita si manifestano ispessimenti verrucosi di colore grigio scuro, localizzati ai gomiti, alle ginocchia, alle caviglie e ai polsi.

La terapia dell’ittiosi

Eccezion fatta per gli ultimi due quadri clinici descritti, che richiedono un particolare trattamento medico, nelle forme più comuni è necessario usare trattamenti cosmetici che devono favorire sia l’esfoliazione della pelle sia l’idratazione.

In particolare, nelle forme lievi possono essere usati topici contenti urea al 10-12% oppure acido lattico al 5-10% da applicare preferibilmente dopo un bagno emolliente.

E’ controindicato, sia nel lattante sia nel bambino, l’applicazione topica di prodotti contenenti acido salicilico perché usati ripetutamente potrebbero favorire un’intossicazione, nota con il nome di salicilismo.

Al contrario, le terapie delle forme gravi di ittiosi, tipo l’eritrodermia congenita ittiosiforme bollosa, devono essere integrate con trattamenti sistemici. Attualmente, l’acitretina è il farmaco maggiormente utilizzato, appartiene alla famiglia dei retinoidi e deve essere somministrato in base al peso del paziente.

Quest’ultimo trattamento richiede la prescrizione medica, sistematici controlli clinici per valutare il decorso della malattia e la valutazione periodica degli esami del sangue per valutare soprattutto gli indici di funzionalità renale, epatica e l’assetto lipidico del paziente.

Rimuoviamo le squame della nostra indifferenza per conoscere l’ittiosi e non rimanere muti come pesci!

Terapia della psoriasi: quali novità negli ultimi venti anni?

23,9 milioni sono i pazienti americani con psoriasi che hanno chiesto un consulto medico dal 1986 al 2005.

Come è cambiata la terapia per il trattamento della psoriasi nel corso di questi anni? Questo l’obiettivo di uno studio che ha analizzato i dati del National Ambulatory Medical Care Survey (NAMCS) e ha pubblicato i risultati sul Journal of American Academy of Dermatology.

Derivati della vitamina D, acido salicilico e soprattutto cortisonici di potenza bassa o media sono state le indicazioni terapeutiche topiche più frequenti alla fine degli anni ottanta e novanta. Solo in casi gravi e importanti venivano prescritti trattamenti sistemici quali il metotressato, la ciclosporina e l’acitretina. Prima e soprattutto trattamenti topici (ovvero quando il medicamento si applica direttamente sulla parte malata) e poi i sistemici.

Dopo un ciclo di terapia si può presentare l’effetto rebound, ovvero una recrudescenza del quadro clinico iniziale, oppure una recidiva della psoriasi con conseguente disagio psicologico del paziente che ripetutamente vede peggiorare o affiorare sulla propria pelle la malattia.

L’effetto rebound è molto più frequente dopo l’uso di corticosteroidi. Pertanto, nel corso degli anni, invece di assistere ad un miglioramento o perfezionamento dell’approccio terapeutico topico per un ottimale gestione della psoriasi e di conseguenza della persona, è aumentata progressivamente la prescrizione di cortisonici di classe molto potente e dei nuovi farmaci sistemici: i biologici.

I cortisonici molto potenti portano in tempi brevi ad un miglioramento delle manifestazioni della malattia ma il loro uso improprio fa aumentare notevolmente il rischio di effetti collaterali, mentre i farmaci biologici hanno quasi del tutto soppiantato le vecchie prescrizioni: ciclosporina, acitretina, metotressato.

In conclusione, cosa è cambiato in 20 anni per il trattamento della psoriasi?

  • poche le novità terapeutiche
  • maggiore prescrizione di cortisonici molto potenti
  • decisivo incremento della prescrizione di farmaci sistemici anche quando non strettamente indicato
  • incremento delle prescrizioni sistemiche rispetto a quelle topiche
  • farmaci biologici come prima prescrizione nella terapia sistemica

Dalla ricerca è anche emerso che la percentuale delle donne e degli uomini con psoriasi è simile, con una irrilevante maggioranza del 51% rappresentata dal sesso maschile. Le fasce d’età dei pazienti che più frequentemente richiedono un consulto al medico sono: 40-49 anni, poi 50-59 anni e infine 30-39 anni. Inoltre, solo il 73% di 23,9 milioni ha chiesto il consulto del dermatologo mentre il 27% si è rivolto ad altri medici specialisti.

Dati apparentemente sterili e privi di significato?

I risultati terapeutici momentanei e a volte insoddisfacenti che il paziente vive sulla propria pelle creano un senso di insoddisfazione e una perdita di fiducia nella terapia convenzionale e, in generale, soprattutto nei giovani, una tendenza a rivolgersi ad altre figure professionali con l’augurio di trovare la causa e la soluzione della loro condizione (come fa il 27% delle persone considerate nello studio).

Filtri solari: occhio alle etichette

«Abbronzatissima sotto i raggi del sole», cantava una vecchia canzone, ma aggiungo: utilizzando il filtro solare per evitare eritemi da scottature e danni cronici dovuti ad un’esposizione incongrua, che potrebbe favorire l’insorgenza dei tumori della pelle.

Il filtro solare deve proteggerci sia dai raggi UVA, che causano eritemi, sia dagli UVB – i più pericolosi perché possono aumentare il rischio d’insorgenza del melanoma – ma deve essere soprattutto stabile o fotostabile, ovvero il prodotto deve mantenere inalterata la sua composizione una volta applicato sulla pelle.

Oltre a non degradarsi alla luce del sole deve essere resistente all’acqua per evitare che il sudore o il bagno in mare lo lavino via. Tuttavia, è buona norma dopo il bagno riapplicarlo per garantirsi una fotoprotezione sicura.

Inoltre, è indicato applicare il filtro almeno 30 minuti prima dell’esposizione solare e poi ogni due ore, sebbene alcuni prodotti vantino una fotostabilità di circa quattro ore.

Bisogna spalmare la crema su tutta la superficie cutanea, senza dimenticarsi delle spalle, del naso, delle orecchie e delle labbra, dove è preferibile usare degli stick dedicati.

Leggere sempre e attentamente le etichette delle confezioni per controllare la data di scadenza e il valore del PAO (period after opening) che indica il periodo minimo garantito di conservazione del prodotto aperto: la crema dell’anno prima non assicura più la stessa protezione indicata!

Usare sempre filtri solari con fattore di protezione adeguato al proprio fototipo. In passato, ogni filtro solare riportava sulla sua confezione un numero noto come SPF (sun protection factor) che indica il rapporto tra la dose minima di esposizione al sole che causa eritema con filtro e senza filtro.

Ad esempio, se un soggetto privo di protezione non si scotta dopo 10 minuti di esposizione, applicando una crema con SPF 20 può rimanere esposto al sole teoricamente per 200 minuti. Il tempo minimo di esposizione al sole senza scottature è però un valore soggettivo che dipende dal proprio fototipo ed è difficilmente standardizzabile per poterlo applicare a tutti gli individui.

Inoltre, accadeva in passato che due creme con lo stesso SPF indicato sulla confezione del prodotto venissero qualificate da un’azienda come protezione media e da un’altra come alta. Di recente, la Commissione Europea ha stabilito delle direttive, effettive dal 2008, riguardanti nuove norme di etichettatura dei solari:

  • schermo totale o protezione totale sono definizioni che non possono essere più usati, in quanto nessun solare garantisce una protezione pari al 100% dai raggi UV.
  • le confezioni devono riportare le nuove categorie di fotoprotezione: bassa, media, alta e molto alta. La protezione bassa include il vecchio SPF 6 e 10, quella media il fattore di protezione 15, 20 e 25, quella alta il 30 e 50 e infine quella molto alta il 50+.
  • le etichette devono riportare le istruzioni e le avvertenze per esporsi correttamente al sole.

Poiché, le raccomandazioni della Commissione Europea non sono vincolanti è necessario prestare attenzione alle diciture riportate sul prodotto che si desidera acquistare per una tutela della propria pelle in senso figurato e reale…

Oggi anche il sole «può dare i numeri» per imparare ad esporsi sempre in ogni periodo dell’anno conoscendo l’indice UV, la quantità di radiazione ultravioletta che raggiunge una determinata zona della Terra in una specifica ora del giorno.

La conoscenza degli indici UV e delle giuste precauzioni da adottare sono utili per una sana e corretta esposizione al sole.

Novartis sotto accusa

100 milioni di dollari è il valore del buono che la Food and drug administration ha conferito a Novartis, una nota azienda farmaceutica, quale primo premio del programma Priority review voucher, indetto nel 2007 dagli Stati Uniti per incentivare la ricerca sui farmaci innovativi per i Paesi Poveri. Un nobile progetto ma The Lancet punta il dito contro l’azienda perché il farmaco che ha permesso a Novartis di vincere il buono è un antimalarico, il Coartem, già sul mercato dal lontano 1999 e registrato in ben 85 paesi, ma non negli USA.

Pertanto, per questa mancata registrazione in America, un vecchio farmaco è stato considerato innovativo, tanto da far vincere il buono di ben 100 milioni di dollari. In realtà, il buono garantisce all’azienda vincitrice la possibilità di registrare più facilmente e, prima della concorrenza, un nuovo farmaco, ottenendo una pole position esclusiva nel prospero mercato dei farmaci.

Il fatto è stato fortemente criticato da Rohit Malpani di Oxfam perché Novartis ha approfittato del programma ed è stato creato un precedente pericoloso in quanto altre aziende farmaceutiche potrebbero avvalersi dello stesso «giochino» per presentare i loro vetusti farmaci ma considerati nuovi e innovativi in America solo perché non registrati in questo Paese.

La difficile strada della ricerca diventa sempre più stretta e in salita, niente di nuovo all’orizzonte ma solo prestigi burocratici per offuscare un nobile progetto.

Cellulite – rimedi efficaci e miti da sfatare

Perché ogni volta che deve essere reclamizzato un trattamento per la cellulite la testimonial è una modella dal fisico perfetto?

Se circa il 90% delle donne lamenta il problema della cellulite, escludo che si tratti di una condizione rara, difficile da individuare per essere presentata. Forse, l’obiettivo è creare l’aspettativa del risultato: diventare come lei!

Ed ecco che la modella, magari tendenzialmente anoressica, dapprima si spreme all’inverosimile le cosce per evidenziare la sua pelle a buccia d’arancia e poi dopo il trattamento sfodera un primo piano del suo fondo schiena che, se non fosse perché un po’ cresciuto, è simile in tutto per tutto a quello di mia figlia che ha solo 3 anni.

Provate a pensare per un momento, ma solo per un momento, se invece della modella ci fosse una donna con la cellulite vera, una di quelle che d’estate al mare si aggira per le spiagge con il pareo sui fianchi, quali sarebbero le conseguenze economiche sulle vendite dei trattamenti anti-cellulite? Creme, tisane, diete, laser, ultrasuoni, cavitazione, sonicazione, liposcultura, lipomodellamento, ozono terapia, aroma terapia… un giro d’affari di miliardi di euro volatizzati via in un batter d’occhio per colpa di una pareo?

La pubblicità mira a vendere il rimedio anti-cellulite anche nei casi in cui effettivamente non serve. L’obiettivo è vendere, e proprio per questo non viene spiegato cosa si intende per cellulite e inconsciamente si è portati a pensare che se il trattamento l’ha fatto la modella a maggior ragione dobbiamo farlo noi, che viviamo tutti i giorni sulla «passerella» in ufficio, in casa, in palestra, dove gli occhi indiscreti dell’amica sono molto più severi e spregiudicati di quelli del fotografo nel sottolineare il nostro inestetismo.

Ebbene, se quest’estate non volete aggirarvi con fare apparentemente sicuro sulle spiagge con l’ultimo pareo alla moda, forse vi conviene continuare a leggere per scoprire cosa è la cellulite, quali i rimedi efficaci e quali i miti da sfatare.

Prima di tutto, il termine cellulite che tutti conosciamo è assolutamente improprio e vago per i seguenti motivi:

  • il suffisso «-ite» generalmente identifica le patologie in cui è presente un’infiammazione e quindi nel caso specifico dovrebbe sottolineare un’infiammazione delle cellule, verosimilmente di quelle adipose. Niente di più falso e sbagliato.
  • il termine non identifica un unico problema perché la stessa parola può evocare in chi ascolta manifestazioni differenti tra loro.

Il nome esatto dovrebbe essere panniculopatia edematosa-fibro-sclerotica, il cui acronimo è PEFS. Non è uno scioglilingua ma la sua conoscenza può aiutarci come «sciogli grasso»… Di seguito continuerò ad usare la parola cellulite perché è un termine molto comune e, per romanticismo ma con una nuova veste, quello di PEFS.

La cellulite, ovvero la PEFS, è un’alterazione morfologica e funzionale del tessuto sottocutaneo, ovvero è caratterizzata da modificazioni patologiche del tessuto adiposo, fisiologicamente presente in tutti gli esseri umani e localizzato al di sotto del derma.

Esistono tre quadri clinici ben precisi: fase edematosa, fibrosa e sclerotica.

Ogni soggetto può avere una delle tre manifestazioni oppure una loro combinazione, un po’ di quella edematosa, un po’ di quella fibrosa e un po’ di quella sclerotica. Ognuna delle tre fasi richiede trattamenti differenti per poter migliorare o risolvere il problema. Dapprima cerchiamo di approfondirne le cause favorenti e aggravanti il problema.

Cause della cellulite

L’inestetismo interessa principalmente le donne di razza bianca, è legato ad una predisposizione familiare e tende a peggiorare nel periodo pre-mestruale quando l’aspetto a buccia d’arancia è maggiormente visibile.

La cellulite è figlia del nostro tempo e molteplici sono i fattori che possono aggravarla:

  • vita sedentaria
  • dimagrimento eccessivamente rapido
  • disordine alimentare, caratterizzato da un eccesso di calorie, grassi, sale…
  • postura con gambe accavallate e l’abbigliamento stretto perché favoriscono la compressione dei piccoli vasi del sistema circolatorio
  • scarpe strette o con tacco troppo alto
  • sovrappeso e lo stress

La correzione del proprio stile di vita previene il problema e, nei casi in cui l’inestetismo sia già presente, contribuisce decisamente al suo miglioramento accompagnandosi al trattamento mirato.

La cellulite: quadri clinici

L’inestetismo può essere didatticamente suddiviso in tre fasi:

  • fase edematosa – è il momento iniziale, dovuto ad un’alterazione del microcircolo venoso e linfatico a causa di microlesioni a carico della parete dei vasi che determinano un ristagno di liquidi a livello dei glutei, del bacino e delle cosce. I tessuti appaiono gonfi, spugnosi e assumono il classico aspetto «cascante» in posizione eretta e quello «oscillante» durante la deambulazione. Il tessuto muscolare sottostante è ipotonico e i tessuti interessati dal ristagno di liquidi possono essere dolenti sia spontaneamente sia alla palpazione. Comune il senso di pesantezza e di tensione alle gambe e ai piedi
  • fase fibrosa o flaccida – compare la fibrosi, un tessuto duro che comprime quello adiposo e i vasi del microcircolo, responsabile di una cute pallida, fredda al tatto e di consistenza aumentata. In questa fase è possibile osservare i primi noduli duri che conferiscono quel caratteristico aspetto, noto come buccia d’arancia.
  • fase sclerotica o compatta – si assiste alla progressiva perdita dell’elasticità dei tessuti, aumentano il numero e le dimensioni dei noduli precedentemente descritti che diventano dolenti al tatto, e l’aspetto a buccia d’arancia peggiora ulteriormente divenendo a materasso. La pelle è fredda al tatto e in superficie scompare la sua levigatezza.

Un caso a parte è, invece, l’adiposità localizzata, tipica degli uomini, dovuta ad un accumulo localizzato di tessuto adiposo e responsabile della ben nota «pancetta», delle «culottes» o delle famose «maniglie dell’amore». In questi casi, la pelle si presenta liscia, senza striature e alla palpazione è elastica, a tratti pastosa.

La cellulite: rimedi e trattamento

L’intervento tempestivo durante la fase edematosa, quella reversibile, deve mirare essenzialmente ad eliminare il liquido in eccesso dai tessuti e a riconvogliarlo all’interno dei vasi.

I massaggi drenanti, siano essi manuali oppure meccanizzati, la pressoterapia, l’elettrostimolazione e simili, sfruttano principi differenti ma l’obiettivo è il medesimo: reindirizzare i liquidi nei vasi per poi drenarli. Proprio per questo, motivo dopo questi trattamenti si è soliti fare tanta «dlin dlin»…

Allo stesso modo le creme applicate, massaggiando l’area interessata dalla cellulite edematosa, le tisane o la mesoterapia favoriscono il drenaggio dei liquidi menzionati. Attenzione ai principi attivi utilizzati dai medici durante la mesoterapia: generalmente a base di caffeina non escludono l’impiego di farmaci tipo i diuretici!

Se il quadro clinico della cellulite presenta segni tipici della fase fibrosa o peggio ancora di quella sclerotica, i trattamenti precedenti devono essere affiancati da altri che modellino il connettivo e nei casi gravi distruggano i noduli di tessuto adiposo.

Concettualmente, in queste fasi il drenaggio può funzionare se il microcircolo non è compresso, pertanto, si interviene con sistemi laser adeguati, oppure con l’elettrostimolazione per stimolarlo.

Inoltre, se sono presenti i noduli sottocutanei, vari sistemi non chirurgici – come la cavitazione o la sonicazione – oppure chirurgici – come la liposuzione – possono «rimuovere» il grasso in eccesso.

In particolare, attenzione ai sistemi non chirurgici in quanto pur non essendo apparentemente invasivi, sfruttano un meccanismo simile a quello impiegato nella litotrissia per bombardare e sminuzzare i calcoli renali, per frantumare gli accumuli adiposi, determinando un aumento temporaneo dei trigliceridi nel sangue. Sarebbe auspicabile che questi ultimi tipi di apparecchiature restassero di pertinenza esclusivamente medica…

Conoscere in dettaglio il problema cellulite può essere determinante per intervenire in modo mirato sull’inestetismo. In caso contrario, la soluzione definitiva per cancellare per sempre la cellulite è e rimane Adobe Photoshop.

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