Nel precedente post ho affrontato l’argomento relativo al fododanno acuto, ovvero sulle cause e manifestazioni cutanee tipiche della classica scottatura solare, e prima ancora quello sulle interazioni tra il sole e la cute e poi uno dedicato interamente alla Cheratosi Attinica e al campo di cancerizzazione.
Oggi, torno nuovamente su quest’ultimo argomento con l’intento di snocciolare il mio personale punto di vista sul fotodanno cronico e le sue conseguenze cutanee.
Non mi risulta che in letteratura medica sia stato già pubblicato nulla del genere e la mia ipotesi si basa semplicemente sull’osservazione clinica e nel tempo dei pazienti visitati.
Da clinico, da dermatologo che osserva e documenta le manifestazioni cutanee prima, durante e dopo un trattamento ma anche a distanza di tempo per controllarne il decorso ho notato alcune condizioni cliniche, che potrebbero essere se confermate, molto importanti per definire la carta di rischio di un paziente al momento della visita dal dermatologo.
Definirò tra poco cosa intendo per carta di rischio.
Oggi quando parliamo di fotodanno cronico l’attenzione del dermatologo è incentrata solo sulla singola lesione, nel caso specifico la Cheratosi Attinica, e di conseguenza sul suo trattamento ignorando il contesto cutaneo dove la lesione si è manifestata.
E’ come se uno indicasse la Luna e l’altro si limitasse ad osservare l’indice che segnala in che direzione osservare.
Sappiamo già come dermatologi, mi auguro che ne siamo anche consapevoli, che la Cheratosi Attinica è solo un epifenomeno del campo di cancerizzazione cutaneo e che per ogni lesione clinicamente visibile e apprezzabile ce ne sono almeno altre 10 subcliniche non osservabili ad occhio nudo.
Se clinicamente ad oggi non abbiamo elementi per osservare le lesioni subcliniche del campo di cancerizzazione è possibile immaginare un punto di vista alternativo che ci permetta di confermarne la presenza in un paziente e soprattutto di prevedere quale potrebbe essere l’evoluzione della sua storia clinica nel tempo?
A mio avviso, la risposta è si!
Questa mia personale convinzione nasce dal fatto che le manifestazioni del fotodanno cronico non sono uguali per tutti e che forse è giunto il momento di iniziare a parlare di fotodanni cronici i quali condividono solo una medesima condizione il danno d’organo alla cute.
E’ proprio questo il punto: il danno d’organo!
INDICE ARTICOLO
Il danno d’organo
Il nostro punto di partenza deve essere sempre la pelle del paziente per aver ben chiaro in quale contesto si manifesta il fotodanno cronico e quali sono di conseguenza le tipiche manifestazioni cutanee nonché prevedere quale potrebbe essere il decorso nel tempo della patologia, fattore di rischio per l’insorgenza dei tumori cutanei non melanoma.
Così facendo si potrebbe immaginare una carta del rischio della persona, individuale per ogni soggetto per lo sviluppo di tali tumori.
La carta del rischio del paziente con fotodanno cronico
Da un punto di vista pratico, capita di visitare pazienti di età diversa con una propria storia personale e professionale, fototipo e fenotipo differente.
Siamo sicuri che la Cheratosi Attinica è l’unica lesione osservabile del fotodanno cronico?
Non credo!
La Cheratosi Attinica è solo una delle possibili manifestazioni.
A mio avviso esistono tre categorie di pazienti con fotodanno cronico:
- pazienti con un basso rischio di sviluppo di tumori cutanei non melanoma
- pazienti con rischio considerevole di sviluppare d’emblée e magari contestualmente Basaliomi e Spinaliomi
- pazienti a rischio di sviluppare essenzialmente Spinaliomi d’emblée.
Attualmente non sono in grado di riportare valori percentuali dei precedenti rischi citati e ricordo che quanto riportato nel post è solo un’ipotesi clinica.
Da un punto di vista grafico si potrebbe immaginare un ventaglio dove all’estrema sinistra si collocherebbero i primi pazienti descritti, al centro i secondi e all’estrema destra gli ultimi.
In questo ipotetico ventaglio, il rischio di sviluppare tumori cutanei non melanoma aumenta via via che da sinistra ci si sposta verso il centro e poi a destra.
Se questa ipotesi fosse confermata, si potrebbe sempre immaginare di associare ad ognuna delle categorie citate algoritmi terapeutici dedicati.
Oggi, invece, ci si limita a terapie finalizzate alla rimozione della Cheratosi Attinica o al trattamento del campo di cancerizzazione, sia con trattamenti fisici o chimici, rischiando di cadere nella trappola della futile discussione di quale sia l’approccio migliore.
E cose se discutessimo se per l’Acne funziona di più l’isotretinoina, l’antibiotico o il laser. Dipende!
A tutto ciò va aggiunto che ogni dermatologo tende ad usare solo alcune delle metodiche e delle terapie disponibili facendo affidamento solo su quelle con le quali ha una maggiore dimestichezza.
Personalmente sono fermamente convinto che tutte le attuali possibilità terapeutiche sono valide e che andrebbero strutturate in algoritmi terapeutici, specifici per ogni categoria di rischio.
Così facendo il dermatologo potrebbe avere delle linee guida da consultare per il corretto trattamento dei pazienti con fotodanno cronico.
Ovviamente sarebbe necessario prima di tutto una conferma dell’ipotesi descritta e poi studi per la messa appunto di tali algoritmi per la definizione di linee guida universali.
Quali sono le manifestazioni cliniche delle diverse categorie di rischio del paziente con fotodanno cronico
Prestando attenzione a non correre il rischio di ragionare per compartimenti stagni perché in medicina le sfumature sono la regola, di seguito i dettagli sulle diverse manifestazioni cliniche delle tre differenti categorie di rischio descritte.
Per poter includere sia gli uomini e le donne ho considerato le mie osservazioni sulle manifestazioni del fotodanno cronico localizzate al viso sebbene i primi, spesso a causa dell’alopecia androgenetica responsabile dell’esposizione cronica del cuoio capelluto, presentano a livello del capo delle manifestazioni aggiuntive.
Prima di tutto, sottolineo che: tutti i pazienti con fotodanno cronico condividono cinque condizioni:
- età adulta, superiore ai 50/60 anni
- esposizione cronica al sole
- comparsa di manifestazioni ex novo, non presenti alla nascita per intenderci
- manifestazioni localizzate elettivamente nelle aree fotoesposte
- danno d’organo
Al contrario le manifestazioni del fotodanno cronico possono essere diverse da soggetto a soggetto.
Sono consapevole che quest’ultima affermazione potrebbe sembrare provocatoria ma è proprio in funzione del tipo di fotodanno cronico che varia la clinica.
Non spetta a me il compito, sempre se l’ipotesi fosse confermata, di spiegare le ragioni e i meccanismi biologici responsabili di tutto ciò ma da clinico ho come l’impressione che in questi diversi gruppi di soggetti varia l’entità (la quantità) e la profondità (il livello cutaneo) del fotodanno.
Categoria 1: basso rischio per lo sviluppo di tumori cutanei non melanoma
Si tratta di soggetti che clinicamente presentano essenzialmente lentigo solari e cheratosi seborroiche localizzate, ovviamente, nelle sedi fotoesposte.
La presenza di tali manifestazioni è responsabile di una pigmentazione non uniforme dell’area interessata e le varie lesioni si presentano di forma circolare, ovalare, ben definite piane o leggermente rilevate sul piano cutaneo.
Tutte hanno una colorazione brunastra e diverse sono le tonalità possibili.
Un altro aspetto saliente riguarda la cute apparentemente sana che si presenta aflegmasica, ovvero non infiammata e la tessitura cutanea più o meno solcata da fini rughe come se la pelle fosse sgualcita.
In questi soggetti sono pressoché assenti le Cheratosi Attiniche.
Categoria 2: rischio considerevole di sviluppare anche contestualmente Basaliomi e Spinaliomi
La pelle di questi pazienti appare tesa, liscia e le rughe presenti sono fisiologiche, dovute all’età, o d’espressione.
E come se la pelle fosse sottesa da un edema e infiammazione sottocutanea cronica. Sono infatti soggetti che ad occhio nudo presentano un eritrosi, un arrossamento persistente e in alcuni casi anche la presenza di teleangectasie alle guance e al naso come da neoangiogenesi.
L’entità di tale arrossamento varia da tonalità molto sfumate quasi rosa al rosso intenso. L’arrossamento può essere localizzato oppure diffuso e confluente.
Sono soggetti che presentano Cheratosi Attiniche il cui numero sembrerebbe essere inversamente proporzionale all’entità del rossore clinicamente osservabile.
L’entità del rossore e la sua estensione aumenterebbero il rischio di sviluppare Basaliomi o Spinaliomi, che in alcuni casi si possono manifestare anche contestualmente. Mentre se presente un rossore meno intenso, localizzato e non confluente che magari interessa più aree fotoesposte il quadro clinico è caratterizzato elettivamente dalla presenza di Cheratosi Attiniche, che come noto possono evolvere verso la forma invasiva dello Spinalioma così come rimanere stazionare nel tempo o regredite.
Quanto appena descritto non deve destare sorpresa perché come dermatologi sappiamo già che una Cheratosi Attinica iniziale osservata in dermatoscopia è caratterizzata dalla presenza di un pattern a fragola rosso, ovvero un arrossamento diffuso interrotto dalla presenza di aree circolari bianco-giallastre e che quando presenti segni di neovascolarizzazione e/o un pattern vascolare atipico sono i segnali dell’evoluzione della lesione verso la forma invasiva dello Spinalioma. Se dall’osservazione dermoscopica della singola lesione allargassimo l’osservazione sul contesto in cui la manifestazione è presente riusciremmo a cogliere segni clinici descritti altrettanto significativi.
Categoria 3: rischio di sviluppare essenzialmente Spinaliomi d’emblée
Si tratta di soggetti che compatibilmente con l’età anagrafica hanno una pelle rosa, chiara. Mancano tutte le manifestazioni descritte nelle due categorie precedenti così come manca quell’aspetto di pelle sgualcita e rugosa, anzi hanno una pelle che presenta un turgore, molto probabilmente a causa di un sottocute ben rappresentato. Ciò che emerge dall’osservazione clinica è la presenza di diverse angectasie di calibro apparentemente uniforme che possono essere sia fini sia più grossolane. Si localizzano alla guancia al limite con la palpebra inferiore, al naso o anche e solo alle guance. Hanno un decorso tortuoso e possono decorrere sia parallelamente tra loro oppure distribuirsi a raggera.
Sono soggetti che improvvisamente possono sviluppare Spinaliomi o Cheratoacantomi d’emblée.
I soggetti appartenenti ad una data categoria descritta non evolverebbero da una ad un’altra perché verosimilmente dovute soprattutto agli individuali e intrinseci meccanismi biochimici che neutralizzano e riparano il danno cellulare indotto dall’esposizione cronica al sole.
Al contrario è presente una gravità diversa per ogni categoria di rischio legata ovviamente dall’età dei soggetti al momento della prima visita dal dermatologo e allo stile di vita individuale. Solo in questo caso un soggetto che ad esempio presenta minime e iniziali manifestazioni della seconda categoria di rischio può peggiorare fino alla comparsa di segni clinici più marcati e diffusi.
Quindi tornando al concetto del ventaglio è possibile immaginarne uno sviluppo in orizzontale per rappresentare le diverse categorie di rischio e per ogni categoria uno in verticale per descrivere le manifestazioni dalle precoci a quelle più gravi e marcate.
Possibili algoritmi terapeutici
A questo punto identificate le 3 possibili categorie di rischio e definita per ognuno di essa l’entità del fotodanno cronico del paziente, l’ideale sarebbe disporre di algoritmi terapeutici specifici da adottare.
Cosa fare in un paziente appartenente alla categoria 1
Per la rimozione delle cheratosi seborroiche e delle lentigo solari si potrebbe eseguire il laser o la crioterapia e monitorare nel tempo il paziente.
Cosa fare in un paziente appartenente alla categoria 2
In questo caso l’approccio dovrebbe tener conto dell’entità dell’arrossamento cutaneo e quindi delle Cheratosi Attiniche presenti.
Ad esempio se l’arrossamento è modesto e localizzato e fossero presenti pochissime Cheratosi Attiniche si potrebbe immaginare di utilizzare metodiche, anche combinandole insieme, per la rimozione delle Cheratosi Attiniche associate sempre al trattamento campo di cancerizzazione.
Per quest’ultimo, considerati i farmaci attualmente disponibili, si potrebbe immaginare di utilizzarli da soli oppure in sequenza, magari prevedendo dei cicli nel tempo, alternando in base alla clinica quelli che è necessario applicare solo per pochi giorni ad altri che invece devono essere applicati per diverse settimane.
Se invece il paziente presenta solo con un arrossamento importante e diffuso si potrebbe ipotizzare di iniziare immediatamente con il trattamento del campo di cancerizzazione prediligendo preferibilmente terapie da seguire per pochi giorni e poi subito dopo a seguire altre da far proseguire al paziente nel tempo. Anche in questo caso si potrebbero valutare il beneficio ad eseguire dei cicli periodici alternando i trattamenti tra loro. Fondamentale il follow up del paziente per monitorare il decorso.
Infine, se presenti Basaliomi o Spianliomi provvedere all’asportazione chirurgica oppure per i primi valutare la fattibilità di possibili trattamenti fisici se dermoscopicamente presentano pattern suggestivi di lesioni superficiali.
Cosa fare in paziente appartenente alla categoria 3
In questi casi il tutto si limiterebbe alla rimozione della lesione tumorale sospettata.
Conclusioni
Spesso quando pensiamo ai tumori della pelle l’attenzione generale si concentra solo sul Melanoma rischiando di trascurare invece tutti gli altri, in primis Cheratosi Attinica, Spinalioma e Basalioma. Inoltre, ancora oggi è alto il rischio di confondere le manifetazioni cliniche della Cheratosi Attinica come normale e fisiologica pelle secca localizzata alle aree fotoesposte dell’adulto o dell’anziano.
Da dermatologi dobbiamo prestare sempre massima attenzione nell’individuare le lesioni cutanee a rischio ma anche dei soggetti maggiormente a rischio per quanto riguarda lo sviluppo dei tumori così come è una nostra responsabilità sensibilizzare e informare i pazienti sull’argomento.
La rilevanza di tali patologie è tale che nel caso del fotodanno cronico ho deciso di condividere la mia ipotesi sulle categorie di rischio con l’idea che possa essere veritiera la carta del rischio per una migliore e puntuale gestione di tali pazienti.