La salute della pelle a cura di
Dermatologia Myskin

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La dermatite atopica nei bambini

La dermatite atopica è una patologia che influenza notevolmente la qualità di vita dei bambini affetti e che pertanto necessita molta attenzione e un costante impegno nella cura e nel follow-up dei piccoli pazienti.

La diffusione della dermatite atopica

Con un’incidenza che è in costante aumento nei paesi industrializzati la Dermatite Atopica (DA) nel bambino è sempre più una patologia attuale, vissuta come un vero problema dai genitori. Colpisce infatti dal 6 al 20% dei bambini.

Come, dove e quando si manifesta la dermatite atopica

La dermatite atopica, malattia infiammatoria cronica, si manifesta con lesioni eczematose localizzate principalmente al volto, al collo e alle pieghe flessorie degli arti.
I pazienti presentano inoltre una marcata secchezza cutanea, che persiste anche nei periodi di remissione.

Clinicamente la DA può colpire i bambini in diverse fasce di età: può insorgere già nel neonato, solitamente dal quarto mese di vita, oppure avere inizio dopo il secondo anno di età.

  • Nei primi anni di vita le manifestazioni cliniche prediligono il viso con distribuzione alle guance, al mento e alla fronte e caratteristico risparmio della regione centrofacciale. Agli arti le lesioni si localizzano alle superfici estensorie e spesso possono andare a interessare l’intera superficie corporea;
  • Dopo i due anni di età invece le lesioni si localizzano caratteristicamente alle pieghe degli arti e al collo, dove la cute spesso diviene ispessita, infiltrata, grigio-brunastra e desquamante.

Sintomo predominante in entrambe le forme è il prurito che ha delle esacerbazioni notturne, per cui il piccolo paziente si gratta la notte con conseguente disturbo del riposo.

Nel 40% degli individui la dermatite atopica si risolve spontaneamente dopo la pubertà e in un ulteriore 50% dei casi si attenua; solo in pochi pazienti la sintomatologia persiste dopo i 30 anni.

Le cause della dermatite atopica

Le cause sono molteplici e secondarie ad una complessa interazione tra fattori genetici predisponenti e fattori ambientali scatenanti.

I fattori genetici predisponenti comprendono:

  • una predisposizione a reagire verso comuni sostanze che sono presenti nell’ambiente;
  • la presenza di una barriera cutanea intrinsecamente alterata.

Una sensibilizzazione ai comuni allergeni ambientali, sia inalanti (dermatofagoidi, graminacee, etc…) che alimenti (uovo, latte vaccino), si può riscontrare nei bambini affetti e si evidenzia con la presenza di anticorpi elevati della classe delle IgE, totali e specifiche. In questi casi la DA può associarsi ad asma e/o rino-congiuntivite allergica.
Nel 20-60% dei bambini affetti da dermatite atopica non sono tuttavia dimostrabili IgE specifiche elevate.

L’alterazione della barriera epidermica è l’elemento fondamentale della patologia. La barriera epidermica, localizzata nello strato corneo (che è lo strato più superficiale della cute), è costituita da lipidi extracellulari, il cosiddetto film idro-lipidico, che regola sia l’evaporazione dell’acqua, sia la penetrazione di sostanze estranee e di microrganismi dall’esterno.

I pazienti con DA hanno una barriera difettosa e poco efficiente, che determina secchezza cutanea e facilita l’ingresso di sostanze irritanti e potenzialmente allergiche.

fattori ambientali che possono scatenare la malattia sono molteplici:

  • l’esposizione ad allergeni inalanti o alimentari
  • l’eccessiva colonizzazione della cute da parte di un batterio: lo Staphylococcus aureus
  • l’inappropriata detersione
  • l’esposizione ad agenti irritanti
  • gli eventi di vita stressanti
  • tutte le situazioni che comportano un aumento della temperatura corporea.

Cosa fare e cosa non fare in caso di dermatite atopica

Per evitare che queste situazioni portino allo scatenarsi di episodi acuti della malattia è necessario mettere in atto una serie di norme comportamentali:

  • Eliminare gli alimenti a cui il bambino è risultato allergico o da cui viene irritato, con particolare attenzione anche ai cibi introdotti tramite l’allattamento dalla mamma.
  • Evitare per quanto possibile il contatto con gli allergeni inalanti, mettendo in atto procedure di bonifica ambientale contro gli acari della polvere (favorendo ventilazione e ricambio dell’aria negli ambienti domestici, eliminando tutti gli oggetti che favoriscono l’accumulo di polvere: tendaggi, tappeti, moquette; rivestendo materassi e cuscini con involucri a documentata azione protettiva e spolverando in modo efficace con panni umidi); così come di evitare il contatto con animali domestici, in caso di sensibilizzazione ad epiteli animali (gatto o cane).
  • Non irritare la cute del bambino atopico, abolendo i lavaggi troppo frequenti e utilizzando sempre detergenti appositi.
  • Insistere quotidianamente con l’idratazione, tramite l’utilizzo di adeguate cremeemollienti: la pelle secca (secchezza cutanea) è il primo nemico da combattere.
  • Scegliere con cura l’abbigliamento del bambino atopico: fare indossare al bambino sempre cotone bianco a contatto con la pelle, evitando i tessuti sintetici e la lana a diretto contatto. Sono inoltre presenti in commercio nuovi tessuti ad alta tecnologia, costituiti da pura maglia di seta o da fibre sintetiche speciali con protezione antimicrobica permanente, che hanno un’indicazione specifica per le pelli atopiche.

La terapia

La terapia farmacologica della dermatite atopica si fonda sui corticosteroidi topici nelle fasi acute, sugli emollienti e sugli inibitori della calcineurina topici (tacrolimus e pimecrolimus) sia in acuto che nelle fasi di remissione.

Nelle forme gravi/resistenti si possono utilizzare inoltre farmaci sistemici: antistaminici per il controllo del prurito, corticosteroidi sistemici e, solo in casi molto gravi, immunosoppressori sistemici.

Spesso è necessaria una terapia delle complicanze, che insorgono in corso di DA: antibiotici per le sovrainfezioni batteriche (impetigine) e antivirali per le sovrapposizioni erpetiche.

L’impatto della dermatite atopica sulla qualità della vita

L’impatto della DA sulla qualità di vita è documentato sia per i pazienti che per i loro familiari:

  • il prurito disturba la vita quotidiana del piccolo atopico nelle sue attività ludiche e scolastiche;
  • la perdita di sonno affligge il paziente e quindi i suoi familiari, implicando a volte conseguenze caratteriali negative.

La dermatite atopica non è una patologia grave, ma è una patologia che influenza notevolmente la qualità di vita dei bambini affetti e che pertanto necessita molta attenzione e un costante impegno nella cura e nel follow-up dei piccoli pazienti.

La psoriasi nei bambini: diagnosi e terapia

La psoriasi è una patologia prevalentemente cutanea che coinvolge circa il 3% della popolazione generale. Sebbene interessi soprattutto adulti tra i 20 e i 35 anni, nel 15% dei casi si manifesta nei bambini tra i 5 e i 12 anni, ed ha un decorso clinico più severo. Spesso ci sono altri casi nella stessa famiglia.

Clinicamente si può manifestare con le classiche placche localizzate a gomiti, ginocchia e regione lombare ma, tipica nel bambino è la varietà «eruttiva». Quest’ultima insorge in genere 2 o 3 settimane dopo un episodio infettivo che coinvolge le alte vie aeree (per esempio dopo una banale faringotonsillite), episodio che il bambino può anche non ricordare, o a volte, dopo una vaccinazione. I batteri maggiormente coinvolti sono gli streptococchi, in grado di stimolare una risposta immunitaria alterata.

Le cause scatenanti

Oltre a quelle descritte altre cause possono essere coinvolte nello scatenamento della psoriasi infantile:

  • traumi;
  • fattori ormonali (la pubertà);
  • farmaci (beta-bloccanti, sali di litio, antimalarici e meno frequentemente: fenilbutazone, indometacina, salicilati, ioduro di potassio, sulfonamide);
  • fattori ambientali (il freddo induce un peggioramento, mentre il sole e il clima caldo migliorano la malattia);
  • stress emotivo.

Questi fattori scatenanti agiscono in concomitanza ad una predisposizione genetica già presente nell’individuo.

Varianti cliniche

  • La psoriasi volgare si presenta con placche di forma tondeggiante o ovalare, a bordi netti, infiltrate, spesso simmetriche. Tipicamente la lesione è ricoperta da squame biancastre facilmente staccabili ed è presente un bordo rossastro. Può coinvolgere il cuoio capelluto con placche più o meno isolate e con una linea netta di demarcazione all’attaccatura dei capelli, il cui aspetto e la cui crescita non vengono compromessi. Sui palmi delle mani e sulle piante dei piedi può assumere un aspetto più squamoso con polpastrelli secchi, ruvidi e spaccature cutanee molto dolorose che non tendono a chiudersi;
  • la psoriasi eruttiva si presenta con elementi di piccola taglia (1 cm), eritemato-desquamativi, localizzati soprattutto sul tronco e sugli arti, caratterizzati da un prurito modesto;
  • la psoriasi invertita interessa le grandi pieghe (ascellari, sottomammarie, addominali, inguinali, interglutea). In queste sedi le lesioni appaiono rosse, lucenti e prive di squame. La psoriasi dell’area del pannolino appartiene a questa variante: è un quadro tipico dei primi 2 anni di vita, soprattutto dei primi mesi; sarebbe scatenata probabilmente da una dermatite irritativa da pannolino, o per sovrainfezione da Candida. Clinicamente è caratterizzata da lesioni lucide e confluenti, ben delimitate e di colore rosso vivo, situate nell’area del pannolino; talvolta nelle pieghe cutanee si osserva un’essudazione più o meno marcata.

La diagnosi, semplice se in famiglia ci sono già altri casi di psoriasi, può invece essere confusa con altre patologie cutanee e quindi trattata in modo incongruo. Per questo è importante una visita specialistica dermatologica, onde evitare terapie inutili o addirittura dannose per il bambino.

Terapia

La psoriasi è una malattia cronica recidivante che può essere curata, ma mai guarita, anche se le lesioni cutanee trattate e risolte, possono anche non manifestarsi più per lunghi periodi o per sempre. Pertanto la terapia è volta ad un pesato bilanciamento di benefici-effetti collaterali dei vari farmaci, tenendo ben presente soprattutto per il bambino la lunga prospettiva di vita, e quindi il sommarsi degli effetti collaterali della terapia nel tempo.

Prevenzione

Alcuni semplici accorgimenti possono evitare o limitare la comparsa di nuove lesioni:

  • sicuramente bisogna proteggersi dai traumi accidentali, perché a volte la psoriasi tende a comparire proprio nelle zone dove si è presa una «botta». In questo senso, sono in fase di studio alcuni capi di abbigliamento costruiti con particolari tessuti, di cui si sta cercando di dimostrare la capacità nel prevenire le ricadute della malattia e nel ridurne la sintomatologia;
  • infine sembrerebbe che una dieta più ricca di pesce e povera di carne rossa sia in grado di migliorare le lesioni cutanee.

Terapia locale

  • Emollienti: insieme ai cheratolitici favoriscono l’allontanamento delle squame, l’idratazione cutanea e la preservazione della barriera cutanea, impedendo le sovrainfezioni. Sono anche un importante supporto per tollerare meglio le altre terapie, che spesso possono causare pella secca e irritazione cutanea;
  • cheratolitici: consentono il distacco delle squame, favorendo la penetrazione nella cute di altri farmaci. L’acido salicilico (a varie concentrazioni) è il più usato, anche se le applicazioni devono essere effettuate su aree limitate dato il maggior rischio di intossicazione salicilica nel bambino (acidosi metabolica);
  • cortisonici: vengono usati in forma di crema, unguento o lozione, da soli o in associazione con cheratolitici. Sebbene i cortisonici potenti (fluorurati) siano più efficaci, i rischi legati al loro uso nel bambino sono da ben valutare se usati cronicamente. I cortisonici topici non fluorurati di media-debole potenza sono quindi il trattamento di scelta. Sempre sconsigliabile, non solo nei bambini, è la terapia sistemica della psoriasi con cortisonici, per il rischio di recidive più gravi alla sospensione del farmaco;
  • derivati della vitamina D: l’uso della vitamina D nella psoriasi è motivato dalla sua capacità di ridurre la moltiplicazione e di indurre la differenziazione cellulare. Alcuni suoi derivati (Calcipotriolo, Calcitriolo, Tacalcitiolo), in commercio sotto forma di crema, unguento e lozione, possiedono la stessa attività, ma con conseguenze limitate sul metabolismo del calcio. Ne viene però sconsigliata l’applicazione al volto e alle pieghe.

Terapia sistemica

In caso di psoriasi eruttiva è consigliabile una terapia antibiotica dato l’insorgenza dopo episodi infettivi. L’eritromicina è tra i più usati, per la sua efficacia e tollerabilità.

La Fototerapia (lampade solari) è un’altra possibilità: i raggi UVB (meglio quelli a banda stretta) sono un trattamento efficace per le forme più estese e per la psoriasi eruttiva. Anche l’esposizione solare porta ad efficaci miglioramenti. Nel bambino questi trattamenti devono però essere bene valutati, per evitare i rischi di danni cumulati e non, dati dall’esposizione ai raggi ultravioletti.

Infine, da riservare a casi gravi, diffusi e non responsivi alla terapia, sono le terapie sistemiche con Ciclosporina A, retinoidi, PUVA terapia e farmaci biologici, in quanto gravate da importanti effetti collaterali.

La Pitiriasi Rosea di Gibert: la guida completa per la diagnosi e la terapia

La Pitiriasi rosea di Gibert è una malattia spesso confusa con la micosi cutanea e con la quale viene quasi sempre confusa e come tale viene trattata con antimicotici topici da applicare su tutto il corpo oppure da assumere per bocca per alcune settimane.

La Pitiriasi di Gibert, descritta come roseola anulata per la prima volta nel 1798 dal dermatologo inglese Robert Willan e poi definita tale alla fine del 1860 dal dermatologo parigino Camille Melchiorre Gibert, sebbene, nella sua forma più classica presenti una morfologia molto caratteristica, spesso non viene correttamente diagnosticata.

Di seguito, le indicazioni cliniche per sospettarla e rivolgersi al dermatologo per una conferma. Prima di tutto, la Pitiriasi Rosea di Gibert si manifesta principalmente nella fascia d’età tra i 10 e i 35 anni. E’ più frequente in primavera ed in autunno e sempre in questo periodo è comune il riscontro di epidemie.

Pitiriasi rosea di Gibert cause

Quest’ultimo aspetto dipende dall’origine virale della malattia. In particolare, sebbene i dati della letteratura non sono unanimi per quanto riguarda l’ipotesi virale alcuni autori puntato il dito nei confronti del virus HHV6 o del HHV7 (human herpes virus 6 o 7).

Più esattamente la Pitiriasi Rosea di Gibert sarebbe la conseguenza di tale infezione virale che dapprima, localizzandosi alle alte vie respiratorie, potrebbe causare un mal di gola o un episodio simil influenzale anche di modesta entità, oppure un disturbo gastro-intestinale se, invece, dell’apparato respiratorio si localizza a livello digerente.

Successivamente, terminata al fase acuta di tali manifestazioni appena descritta, dopo 2-4 settimane compaiono delle tipiche chiazze sulla pelle che si possono manifestare come:

  • macchie rosse al collo
  • macchie sulle braccia o meglio alla radice degli arti
  • macchie rosse alla pancia
  • macchie rosse sulla pelle senza prurito
  • macchie rosse sulle gambe.

Almeno nella fase iniziale. Sono tutte manifestazioni piane sulla pelle che spesso vengono impropriamente descritte come bolle rosse sul corpo.

La pitiriasi rosea di Gibert è contagiosa?

Pertanto, prima di procedere con la descrizione delle manifestazioni cutanee, sottolineo che un soggetto con Pitiriasi Rosea di Gibert non è infettivo mentre lo era solo quando nelle settimane precedenti presentava ad esempio il mal di gola.

Pitirasi rosea di Gibert: la chiazza madre

Inizialmente, nella rosea di Gibert compare una macchia rossa sulla pelle, un’unica e grande lesione, chiamata anche chiazza madre o medaglione o plaque initiale di Brocq di forma arrotondata, ovale e il cui diametro può variare dai 2 ai 10 cm. Si presenta ben delimitata con il margine è di colore rosa mentre il centro è più chiaro chiaro quasi dello stesso colore della pelle sana.

Chiazza madre di Pitiriasi Rosea di Gibert
Chiazza madre di Pitiriasi Rosea di Gibert

Tutta la superficie cutanea della chiazza madre presenta un aspetto sgualcito, zigrinato. Osservando attentamente il bordo della lesione è possibile notare un collaretto caratterizzato da una fine desquamazione. Questo particolare collaretto desquamativo è aderente alla periferia della chiazza mentre presenta un bordo libero verso il centro della lesione stessa. Generalmente, la chiazza madre si localizza al tronco, al collo oppure in prossimità delle radici degli arti.

Eruzione secondaria

Successivamente, dopo 7-20 giorni dalla comparsa della chiazza madre compaiono in successione tante altre chiazze morfologicamente simili tra loro e alla chiazza madre stessa ma di dimensioni più piccole. Si manifestano simmetricamente al tronco, dove possono assumere una particolare distribuzione ad albero di Natale o a baldacchino, oppure al collo.

eruzione-secondaria
eruzione-secondaria

La Pitiriasi Rosea di Gibert quasi mai interessa il volto. Il numero delle lesioni tipiche dell’eruzione secondaria varia da soggetto a soggetto da poche a molte decine. Terminata la comparsa di tali lesioni nell’arco di alcuni giorni o settimane la Pitiriasi Rosea di Gibert inizia a regredire, risolvendosi spontaneamente nell’arco di 3-6 settimane senza lasciare alcun esito sulla pelle.

Varianti cliniche

Esistono diverse varianti cliniche della malattia caratterizzate ad esempio dall’assenza della chiazza madre oppure da un’eruzione secondaria che interessa anche il viso, le ascelle o l’inguine. Inoltre, alcune di queste varianti possono associarsi a specifiche alterazioni ungueali quali il pitting o le linee di Beau oppure a particolari manifestazioni asintomatiche localizzare al cavo orale:

  • punteggiature purpuriche
  • chiazze ricoperte da induito grigiastro
  • anelli eritematosi
  • placca isolata di grandi dimensioni

La variabilità clinica può essere tale per cui a volte si può verificare anche la comparsa contemporaneamente della chiazza madre e dell’eruzione secondaria oppure altre volte prima dell’eruzione secondaria e poi, dopo alcune settimane, della chiazza madre.

Macchie rosse sulla pelle e prurito

Sintomatologia

Di solito è presente prurito la cui intensità è direttamente proporzionale alla desquamazione delle chiazze e generalmente compare solo durante la fase di regressione della malattia.

Pitiriasi rosea di Gibert: cura

E’ buona norma usare idratanti e detergenti non aggressivi per la pelle per ridurre al minimo la desquamazione e di conseguenza la comparsa del prurito che quando presente deve trattato con anti-istaminici per evitare che il soggetto grattandosi infetti le lesioni favorendo la comparsa di un’impetigine.

A volte, soprattutto nei bambini può essere utile il talco mentolato per lenire il prurito. Infine è sconsigliato assolutamente la somministrazione di cortisonici per via sistemica perché possono aggravare il quadro clinico della patologia che si manifesta una volta sola nella vita. Se soffri o pensi di soffrire di Pitiriasi rosea di Gibert è consigliabile sempre chiedere un consulto ad un Dermatologo.

 

 


Riferimenti scientifici

VanRavenstein K1, Edlund BJ. Diagnosis and management of pityriasis rosea. Nurse Pract. 2017 Jan 20;42(1):8-11.

Drago F, Ciccarese G, Rebora A, Broccolo F, Parodi A. Pityriasis Rosea: A Comprehensive Classification. Dermatology. 2016;232(4):431-7. Epub 2016 Apr 21.

 

Psoriasi ungueale (delle unghie): guida completa delle manifestazioni cliniche e terapia

La psoriasi non è solo una malattia dermatologica che in base alla sua forma clinica si presenta con lesioni specifiche sulla pelle ma in alcuni casi può interessare anche le articolazioni (psoriasi artropatica), mentre è molto comune il coinvolgimento delle unghie delle mani e dei piedi (psoriasi ungueale, psoriasi delle unghie).

Se per valutare la gravità delle lesioni cutanee esiste il PASI (psoriasis area severità index), al contrario pochi conoscono le manifestazioni ungueali tipiche della psoriasi. Spesso neanche il dermatologo si sofferma a valutarle e vengono definite tutte con un termine assolutamente generico, «onicodistrofia» o, peggio ancora, «onicomicosi».

Anche in rete non ci sono adeguate informazioni in merito e l’unica cosa certa è il disagio estetico, funzionale e sociale che il paziente con psoriasi vive quotidianamente quando la malattia coinvolge anche le unghie.

Le manifestazioni ungueali sono molteplici e differenti, possono essere presenti singolarmente oppure combinate tra loro nello stesso soggetto.

Il polimorfismo clinico delle lesioni ungueali della psoriasi dipende dalla sede in cui insorge il problema, ovvero la matrice ungueale oppure il letto ungueale.

schema-unghia

Le diverse parti dell’unghia

Anche per la psoriasi ungueale esiste un metodo per definire l’entità e la gravità della patologia: NAPSI (nail psoriasis severity index).

Riconoscere le lesioni ungueali tipiche della psoriasi è importante oltre che per la valutazione del NAPSI anche per individuare il trattamento più idoneo per gestire il problema.

Di seguito, verranno descritte le singole manifestazioni che sono visibili anche qui.

Pitting

Si caratterizza per la comparsa sulla lamina ungueale di piccole depressioni cupoliformi, conseguenti ad un alterato processo di cheratinizzazione della lamina ungueale.

Comunemente, tali manifestazione clinica viene chiamata anche unghia a ditale da cucito proprio per il suo caratteristico aspetto simile all’utensile della sarta.

La gravità del pitting viene valutata contando letteralmente il numero di depressioni presenti sulla lamina. Se sono meno di 10 è lieve, se comprese tra 10 e 20 è moderata mentre è grave se ne sono presenti più di 20.

Linee di Beau

Descrivono la presenza di solcature trasversali ben definite e solo la conseguenza di una ridotta attività della matrice prossimale.

La solcatura trasversale non è altro che l’unione di tante singole depressioni cupoliformi (pitting) disposte quasi tutte sulla stessa linea orizzontale.

Tipiche dei soggetti con psoriasi, possono comparire anche dopo episodi febbrili insorti bruscamente.

Quando è presente un’unica solcatura trasversale il quadro clinico è considerato lieve, se c’è ne sono 2 oppure 3 moderata, mentre è grave se presenti più di 3 linee di Beau.

Onicomadesi

Dovuta all’interruzione temporanea dell’attività mitotica di tutta la matrice prossimale si caratterizza per la comparsa di uno scollamento a tutto spessore dell’unghia a partenza prossimale, ossia dal lato opposto al margine libero della lamina ungueale.

Di solito l’onicomadesi è di origine post-traumatica, pertanto pur rappresentando una manifestazione della psoriasi ungueale non viene valutata per definire l’entità della patologia

Trachionichia

La lamina ungueale si presenta rugosa longitudinalmente, «smerigliata», come abrasa da un getto di sabbia.

In questo caso la valutazione viene eseguita suddividendo immaginariamente la lamina ungueale in 8 settori uguali tra loro, dove ognuno di essi rappresenta il 12,5% del totale.

Se è interessato meno del 25% dell’area totale la manifestazione è lieve, moderata se presente su una superficie compresa tra il 25 e il 50%, grave se interessa più del 50% dell’unghia.

Leuconichia

Nota anche con il nome di unghia di Bean, si manifesta con la comparsa a livello della lamina ungueale di una o più chiazze di colore bianco.

Oltre che nei soggetti con psoriasi può comparire anche nei soggetti con ipoalbuminemia (diminuzione del contenuto di albumina nel sangue sotto i valori normali).

In questo caso, la valutazione dell’entità della leuconichia viene eseguita con lo stesso metodo descritto per la trachionichia.

Ipercheratosi

Dovuta all’accumulo di squame al di sotto della lamina ungueale in prossimità del margine distale, quello libero, si manifesta con un ispessimento di colore bianco giallastro. Può essere parziale e localizzato oppure totale con conseguente scollamento dell’unghia dal letto.

L’ipercheratosi è considerata lieve se lo spessore è inferiore a 2 mm, moderata se compresa tra 2 e 3 mm, grave se superiore a 3 mm.

Onicolisi

Si manifesta con un’area di colorito giallastro, localizzata in prossimità del margine distale e laterale dell’unghia, spesso confusa con un’onicomicosi, è dovuta allo scollamento dell’unghia dal letto ungueale.

Anche in questo caso di adotta il metodo di valutazione descritto per la trachionichia per stabilire l’entità del problema.

Emorragie a scheggia

Insorgono spesso per motivi traumatici e appaiono simili a striature lineari e longitudinali all’asse maggiore della lamina ungueale, di colore rosso-porpora,.

Le emorragie a scheggia non sono necessariamente tipiche della psoriasi ungueale proprio perché la loro comparsa è conseguente ad un trauma, motivo per cui è importante riconoscerle ma non rappresentano un criterio per definire la gravità della patologia.

Macchie di Gottron

Singole o multiple chiazze, simili ad una macchia d’olio, si colore giallo o color salmone, proprio per questo chiamata anche macchie color salmone, compaiono sulla lamina ungueale.

Anche per le macchie di Gottron si usa lo stesso metodo di valutazione adottato per la trachionichia.

Terapia della psoriasi ungueale

La particolare composizione e struttura dell’unghia, spesso rende complesso l’approccio terapeutico per la difficoltà di assorbimento dei farmaci applicati.

Tuttavia, oggi esistono in commercio dei prodotti che grazie ai loro veicoli riescono a far penetrare attraverso la lamina ungueale i principi attivi per gestire la patologia. In particolare sottolineo l’importanza delle mousse, oppure di smalti specifici che, usati sistematicamente, possono veramente migliorare l’aspetto delle lesioni ungueali.

In caso di ipercheratosi per ridurre lo spessore cutaneo il principio attivo più efficace è l’urea ad una concentrazione variabile dal 30 al 40%, opportunamente veicolata.

Prima del trattamento è evidente la presenza dell'ipercheratosi
Prima del trattamento è evidente la presenza dell’ipercheratosi

Nella prima immagine è evidente la presenza dell’ipercheratosi, ovvero un ispessimento corneo localizzato nello spazio compreso tra la lamina ungueale e il letto a livello dei pollici di entrambe le mani.

Situazione durante il trattamento
Situazione durante il trattamento

L’ipercheratosi ungueale, che nel caso specifico si associava anche alla presenza di placche cutanee di psoriasi, si è progressivamente ridotta, così come è possibile valutare nelle foto cliniche, nel corso del trattamento a base di urea eseguito per un periodo complessivo di 40 giorni circa.

Situazione al termine del trattamento, dopo 40 giorni circa
Situazione al termine del trattamento, dopo 40 giorni circa

L’urea serve a ridurre l’eccessivo spessore (ipercheratosi) oppure a levigare la lamina ungueale se presente il pitting o la trachionichia.

Lo stesso principio attivo può essere utile anche se presenti le linee di Beau, applicandolo sulla porzione distale, oppure se presente onicomadesi, per ammorbidire l’unghia interessata dalla presenza di tali lesioni in modo tale che quella nuova abbia meno difficoltà a rimuoverla durante la crescita.

Inoltre, se presente il pitting, consiglio di agire sulla matrice per smorzare il processo infiammatorio della psoriasi e per far in modo che l’unghia ricresca senza le depressioni cupoliformi. In questi casi consiglio l’uso di mousse a base di cortisone perché una volta applicate non ungono e vengono facilmente assorbiate in profondità.

In alternativa al cortisone è possibile applicare localmente, sempre in corrispondenza della matrice, topici a base di analoghi della vitamina D o contenenti tazarotene.

Invece, in caso di leuconichia o di chiazze color salmone, trattandosi solo di un difetto cromaticodella lamina non ci sono controindicazioni all’uso di smalti cosmetici per camuffare l’inestetismo.

Infine, in tutti casi in cui è presente uno scollamento della lamina non è possibile riadagiarla sul letto. A tal proposito, sconsiglio l’applicazione delle unghie finte perché la loro applicazione potrebbe rappresentare un trauma e di conseguenza un fattore scatenante o aggravante la psoriasi localmente.

Depilazione definitiva laser o con luce pulsata: mito o realtà?

Depilazione definitiva dei peli: mito o realtà?

Concettualmente, la depilazione definitiva si riferisce all’eliminazione per sempre – per il resto della vita – dei peli superflui.

Tale risultato è assolutamente impensabile e irrealizzabile. La dicitura «definitiva» ha solo una finalità commerciale, ovvero convincere la persona a sottoporsi al trattamento di eliminazione dei peli.

Il mancato raggiungimento del risultato definitivo non è dovuto ad un limite tecnologico, ovvero dei dispositivi normalmente utilizzati per eliminare i peli, ma è condizionato dai vari fattori che influiscono sul ciclo pilifero.

A tal proposito, non è corretto pensare ai propri peli come se fossero degli oggetti che non ci servono più e dei quali è possibile disfarsi per sempre.

Prima di tutto, fattori genetici e familiari individuali inducono i follicoli, attivandoli, a produrre i peli. In altre parole, ogni essere umano possiede circa lo stesso numero di follicoli piliferi, sparsi sul proprio corpo, ma solo una parte di essi è funzionalmente attiva, altri sono silenti e, pertanto, non producono peli.

Ad esempio, il dorso particolarmente peloso di un uomo si differenzia da quello di un altro tendenzialmente glabro solo per il diverso numero di follicoli attivi e non per il numero totale dei follicoli che, invece, è simile in entrambi.

I follicoli silenti che non producono peli possono attivarsi sia per motivi fisiologici che in seguito all’induzione di fattori quali l’assunzione di farmaci, (ad esempio cortisone e ciclosporina) o patologie, soprattutto quelle di origine endocrina.

Inoltre, ci sono aree del corpo, quali le ascelle, il pube, le areole mammarie, il dorso e il volto dove il ciclo pilifero è intrinsecamente controllato dalla secrezione ormonale individuale. Proprio, per questo motivo è impensabile eseguire l’eliminazione definitiva dei peli dal volto di uomo se contestualmente non vengono assunti farmaci che neutralizzano tale influenza ormonale.

Pertanto, l’aggettivo definitivo non è corretto e deve essere sostituito da permanente, ovvero il risultato ottenuto permane nel tempo sui follicoli attivi trattati.

Dopo un corretto ciclo di trattamento, in alcuni soggetti i risultati ottenuti possono perdurare anche per più di un anno. Tuttavia, sono necessarie cicliche sedute di mantenimento, ogni 2-5 mesi, per consolidare tali i risultati.

Depilazione o epilazione: le differenze

Il termine depilazione si riferisce all’eliminazione del fusto del pelo, ovvero solo alla porzione che emerge sulla pelle. Ad esempio, l’uomo che si rade la barba, poiché rimuove solo il fusto, esegue una metodica di depilazione.

Invece l’epilazione si riferisce alla rimozione del pelo per intero, rimuovendolo dal suo follicolo. La pinzetta e la ceretta sono le più comuni metodiche di epilazione.

Anche il laser e la luce pulsata, pur non rimuovendo meccanicamente il pelo dalla pelle, poiché emettono un impulso luminoso che, penetrando attraverso la cute, interagisce con il follicolo pilifero e distrugge il pelo in seguito alla formazione di calore, sono riconosciute come metodiche di epilazione e non di depilazione.

Laser o luce pulsata: i sistemi per la rimozione dei peli

Il sistema laser e quello a luce pulsata sono caratterizzati da due meccanismi fisici differenti ed emettono impulsi di luce idonei ad interagire con specifici bersagli cutanei, tra i quali il follicolo pilifero.

epilazione laser gambe
Epilazione alle gambe mediante laser

In assoluto non è possibile stabilire a priori se sia meglio il laser o la luce pulsata per il trattamento dei peli indesiderati. In letteratura, sono stati pubblicati diversi lavori scientifici che dimostrano performance simili tra i sistemi a luce pulsata e i laser, quali l’alessandrite, il diodo, Nd-YAG.

La valutazione del fototipo della persona e della tipologia del pelo da trattare (colore, diametro del fusto e densità pilifera) e il corretto settaggio della strumentazione sono elementi indiscutibili per un’epilazione permanente ottimale.

Non tutti i sistemi a luce pulsata e non tutti i laser sono uguali tra loro e pertanto, necessitano di impostazioni differenti, personalizzati in base alle caratteristiche tecniche delle singole apparecchiature.

Sul mercato esistono anche piccoli strumenti portatili a luce pulsata per un uso domiciliare ma i risultati non sono minimamente confrontabili con le apparecchiature professionali. Inoltre, lo scorretto utilizzo di tali strumenti potrebbe esporre il soggetto al rischio di scottature e/o ustioni cutanee.

Il professionista dell’epilazione laser o con luce pulsata. La normativa

Chi dovrebbe eseguire i trattamenti laser o con luce pulsata per l’eliminazione dei peli? Il medico o l’estetista?

Oggi, in Italia, la normativa non è chiara e proprio per questo motivo l’epilazione permanente viene eseguita da entrambi.

Personalmente, sono del parere che tale trattamento può essere tranquillamente svolto sia dal medico sia dall’estetista abilitata da specifici corsi di formazione teorico-pratici, riconosciuti a livello nazionale, e non da fugaci training aziendali, spesso finalizzati ad insegnare come ammortizzare lo strumento, ad organizzare giornate aperte e dimostrative presso i singoli centri estetici, e ad utilizzare il dispositivo applicando in modo indiscriminato i protocolli senza un adeguato inquadramento della persona.

Attualmente, in Italia, mancano tali corsi, la normativa non viene aggiornata e alcune regioni hanno deciso di vietare alle estetiste l’uso di tali apparecchiature, ritenendole di esclusiva pertinenza medica.

Per orientarsi in questo «mare nostrum» in cui tutti fanno tutto, in attesa di regolamentazioni e normative in merito, consiglio di:

  • far presente al promotore di una fantomatica depilazione definitiva con il laser o con la luce pulsata di quanto è riportato nel post. Non cascate nel tranello!
  • non accettare contratti che millantano l’eliminazione definitiva di tutti peli. Eseguite singole sedute e continuate a farlo solo se soddisfatti della professionalità e del risultato
  • diffidare di chi promette risultati sicuri in un numero definito di sedute. La risposta individuale influenza notevolmente i risultati per i quali è possibile ipotizzare una stima
  • diffidare delle giornate dimostrative e delle giornate aperte presso i centri medici o estetici perché l’epilazione laser o luce pulsata non è una dimostrazione di pentole! Richiedete sempre un appuntamento individuale.

I nuovi cosmetici tollerati dalla pelle sensibile o reattiva

«Sono ben 150 i principi attivi presenti nella nostra crema idratante.»

L’informatore continuava a decantare le proprietà della sua crema ma mi chiedevo se effettivamente tutti quei principi fossero necessari per idratare la pelle.

E poi, una crema così «barocca» nella sua composizione sarebbe stata tollerata da una pelle sensibile o reattiva?

Inoltre, i conservanti e i coloranti largamente impiegati in tali formulazioni per preservare nel tempo il prodotto sono spesso causa di dermatiti da contatto sia irritative sia allergiche.

In rete, ci sono diverse risorse, alcune in inglese e altre più semplici in italiano, che permettono di conoscere in dettaglio i singoli componenti presenti nelle preparazioni cosmetiche e di valutarne il grado di sicurezza per la salute della persona.

L’ideale sarebbe applicare sulla pelle cosmetici dalla composizione minimalista che, pur svolgendo l’azione desiderata, riducono sensibilmente il rischio di possibili reazioni avverse.

Oggi, la tecnologia aiuta il chimico nella preparazione di cosmetici assolutamente privi di conservanti, di profumi e tensioattivi e quindi particolarmente indicati per le pelli sensibili e/o reattive.

Ecco, quindi che per le pelli più esigenti e delicate è possibile usare un latte detergente contenente solo 6 ingredienti oppure una crema lenitiva che, invece, ne contiene solo 9.

Tecnologia e chimica: un binomio nuovo nel panorama cosmetico dedicato alla salute e al benessere della pelle.

Rivoluzionari e brevettati sistemi di chiusura dei prodotti, evitando i fenomeni di ossidazione e degradazione dei singoli ingredienti, preservano la formulazione del cosmetico nel tempo, garantiscono un’elevata tollerabilità cutanea e mantengono un’efficacia costante come se la confezione fosse stata appena aperta.

Proprio per questo motivo, i cosmetici che utilizzano tale dispositivo non hanno l’obbligo di riportare sulle confezioni il PAO, ovvero l’indicazione sul periodo di validità del prodotto dopo l’apertura.

XIX congresso nazionale AIDA: resoconto

Applausi, si è concluso in questo modo il XIX congresso nazionale AIDA che dal 15 al 18 settembre si è svolto a Torino.

La qualità del programma scientifico, l’impostazione sistematica e la chiarezza degli argomenti presentati sono stati gli ingredienti salienti del congresso che sarà ricordato anche per l’interazione in sala tra i relatori e i partecipanti e, per la prima volta, tra i medici e la rete.

Myskin ha partecipato all’evento nazionale pubblicando in diretta sulla propria pagina di Twitter e sulla bacheca di Facebook i punti salienti di ogni relazione e discussione.

L’iniziativa è stata condivisa anche da Corsi di Medicina che ha pubblicato i tweet con hashtag #aida2010, contribuendo a dare maggiore risalto all’evento nazionale.

L’interazione virtuale è stata particolarmente gradita dagli internauti ed ha permesso la creazione di tavole rotonde virtuali tra gli esperti del settore e i pazienti/utenti.

Tale tipo d’interazione, è stata una novità assoluta per un congresso di medicina e nuovi orizzonti si intravedono per quelli futuri che, a mio parere, non devono essere solo ed esclusivamente un momento di incontro e di aggiornamento medico ma anche e soprattutto di relazione e confronto tra i medici e i gli utenti per condividere in senso critico e costruttivo i successi, le aspettative ed anche gli insuccessi di una professione quotidianamente dedita alla prevenzione, alla diagnosi precoce e a trattamenti maggiormente performanti e sicuri per il paziente.

I temi centrali del congresso sono stati la dermatologia clinica e quella estetica, la dermatoscopia, i tumori cutanei con particolare dedizione al melanoma e infine, ma non meno importate, le problematiche legali del danno estetico in ambito civile, penale e sociale.

Comorbilità è stato il concetto più volte ripetuto, ovvero una condizione clinica caratterizzata dalla coesistenza nella stessa persona di diverse patologie di cui una cutanea. La psoriasi, la dermatite atopica, la vitiligine, l’orticaria sono solo un esempio di condizioni cliniche che possono associarsi ad altre patologie e, spesso, il dermatologo è il playmaker tra i vari specialisti ed è colui che per primo sospetta una sindrome complessa, partendo proprio dall’attenta valutazione delle manifestazioni cutanee e dei sintomi del paziente.

E’ stato ribadita l’importanza della dermatoscopia, una metodica non invasiva per la diagnosi precoce del melanoma, lo screening e il follow-up dei nevi. Sono stati nuovamente presentati gli algoritmi diagnostici normalmente usati dal dermatologo per individuare le lesioni sospette e proprio sulla base di tali strumenti è stato simulato un ambulatorio virtuale.

A monitor sono state proiettate immagini di neoformazioni pigmentate e ognuno ha potuto soppesare la propria esperienza in dermatoscopia, confrontarsi direttamente con i colleghi in sala ed esprimere il proprio parere favorevole all’asportazione oppure al follow-up nel tempo delle lesioni visualizzate.

Sono stati sottolineati e approfonditi i criteri dermoscopici per sospettare un melanoma in fase iniziale, sono stati analizzati i fattori di rischio, i soggetti a rischio e soprattutto i nevi a rischio di evoluzione in melanoma.

Diagnosi precoce, trattamento chirurgico per l’asportazione, presentazione delle linee guida riguardanti il linfonodo sentinella e dei fattori prognostici sono stati gli argomenti dell’intera giornata congressuale dedicata al melanoma.

Inoltre, non sono mancati i focus on su:

  • Ciclosporina – per ribadire l’importanza di attenersi alle linee guida per quanto riguarda la somministrazione del farmaco e la modificazione del dosaggio in presenza di alterazione di alcuni parametri, quali ad esempio quelli della funzionalità renale.
  • Ulcere – per sottolineare l’importanza di un’ osservazione clinica dettagliata delle lesioni, utile per un corretto inquadramento diagnostico, per attuare il protocollo d’indagine alla scoperta della noxa patogena e di conseguenza dell’approccio terapeutico.
  • Cortisone – un farmaco spesso temuto (corticofobia) ed usato impropriamente. Eppure, la scelta della molecola migliore, della modalità di somministrazione, del veicolo non possono essere azzardate e richiedono sempre una critica valutazione specialistica da parte del dermatologo che ne conosce gli usi, le indicazioni e limitazioni d’uso.
  • Onicomicosi – per puntualizzare il corretto approccio ai fini diagnostici e fare il punto sui protocolli terapeutici
  • Alopecia areata – per illustrare i protocolli diagnostici, le novità terapeutiche e la modalità di somministrazione dei farmaci.

Infine, per quanto riguarda la dermatologia estetica, l’argomento centrale è stato l’invecchiamento cutaneo. Sono stati presentati i sistemi fisici (laser) e chimici (tossina botulinica, filler correttivi…), sono state messe a confronto le diverse metodiche, puntualizzate le indicazioni e le tecniche di impiego ma anche la gestione delle complicanze che potrebbero insorgere durante un trattamento di fotoringiovanimento.

Applausi, quindi, per quanto è stato ben organizzato, ma un nuovo applauso d’incoraggiamento lo auguriamo fin da ora ai colleghi che dovranno organizzare il XX congresso nazionale AIDA, che si svolgerà il prossimo anno a Taormina dal 11 al 14 maggio, per migliorare ulteriormente il profilo scientifico dell’evento.

Abiti anti-UV: tessuti con fattore di protezione per la prevenzione di melanoma e tumori della pelle

La prevenzione diventa stile da indossare per la salute della nostra pelle.

Sappiamo benissimo che la prevenzione è uno stile di vita ma che da oggi fosse anche uno stile di abbigliamento è una novità nel nostro paese; una realtà nata in Australia, dove l’incidenzadel melanoma è la più alta al mondo e dove i tumori della pelle sono la prima causa di morte nei soggetti trapiantati, e poi diffusa in America e ora in Europa.

Fattori di rischio per i tumori cutanei

In generale, principali fattori di rischio per l’insorgenza del melanoma e degli altri tumori cutanei non melanocitari sono:

  • fenotipo I e II – perché presentano un colore delle pelle, degli occhi e dei capelli chiaro o molto chiaro
  • ustioni solari – soprattutto quelle verificatesi durante l’infanzia
  • acuta e incongrua esposizione al sole
  • cronica esposizione al sole – ad esempio per motivi professionali (contadini, marinai,..)
  • pregressa asportazione di un tumore della pelle
  • familiarità per tumori della pelle

Inoltre, la fototerapia, un trattamento dermatologico indicato soprattutto per la vitiligine e alcune forme di psoriasi, eseguito secondo protocolli codificati, potrebbe rappresentare un ulteriore fattore di rischio specie se il paziente dopo il trattamento si espone alla luce naturale senza un’adeguata protezione.

In questi casi, infatti, si verificherebbe un effetto cumulativo dei raggi UV sulla pelle dovuto, in parte, all’emissione controllata e dosata dei raggi durante il ciclo di fototerapia mentre la restante, quella naturale, non assolutamente valutabile oggettivamente. Da qui, nasce l’indicazione di proteggere adeguatamente la pelle dei pazienti che seguono la fototerapia dopo ogni seduta di trattamento.

Gli abiti anti-UV

Tessuti tecnologicamente avanzati, alla moda, ma soprattutto funzionalmente attivi nel proteggere la nostra pelle dalle insidie dei raggi solari, grazie all’intrinseca presenza tra le fibre di ogni capo di abbigliamento di un fattore di protezione.

Si tratta di indumenti sintetici e/o naturali le cui fibre e microfibre tessili sono intrinsecamente «combinate» con specifici principi, quali il biossido di titanio o l’ossido di zinco, in grado di proteggere la pelle dall’irraggiamento solare.

UPF: il livello di protezione

Il livello di protezione dai raggi solari nelle creme solari viene indicato con la sigla SPF (sun protection factor), mentre per i tessuti è prevista la dicitura UPF (ultraviolet protection factor).

Spesso di colore scuro o acceso, perché rispetto al bianco assorbono meglio i raggi solari, possono avere diversi gradi di protezione solare.

La massima protezione è garantita dagli indumenti con UPF 50+ mentre quelli con fattore di protezione inferiore a 15 non possono essere considerati protettivi.

Attenzione all’etichetta

La Federal Trade Commission americana ha pubblicato un documento per richiamare l’attenzione dei consumatori sulle etichette degli abiti confezionati con i tessuti anti-UV che devono indicare il fattore di protezione solare.

In Italia, le caratteristiche di un tessuto anti-UV sono state indicate dall’Ente Nazionale di Unificazione che ha precisato che i capi conformi alle norme UNI si riconoscono perché sull’etichetta riportano un sole giallo con ombreggiatura, il numero della norma (EN 13758-2) e il fattore di protezione solare.

La validità e l’efficacia di tali capi di abbigliamento è stata certificata dalla American Academy of Dermatology, che per la prima volta ha conferito un tale riconoscimento a questi nuovi tessuti, da The Skin Cancer Foundation e da Melanoma International Foundation.

Abiti e creme solari: le differenze

Una protezione fisica elevata da indossare quotidianamente e non più da applicare sulla pelle trenta minuti prima di esporsi al sole (e da rinnovare ogni due ore).

Una protezione che non necessità della giusta quantità di crema solare sulla cute, pari a 2 grammi per cm2, per garantire la corretta foto-protezione individuale.

Pur restando valido l’uso della crema solare per proteggere la propria pelle, la maggior parte dei soggetti a rischio di melanoma e/o dei tumori cutanei quali il basalioma e il carcinoma squamocellulare, si limita ad usare tale prodotto solo d’estate, magari durante le vacanze, trascurando l’importanza della foto-protezione durante tutto l’anno.

I tessuti, invece, facendo parte della nostra vita quotidiana possono diventare veramente fondamentali per una prevenzione completa, riducendo drasticamente il rischio di scottature e ustioni solari, note per essere uno dei fattori di rischio per tali malattie.

Il presente e il futuro prossimo della professione medica deve essere sempre più orientato ad investire sulla salute con lo sguardo ben oltre il confine dei farmaci e delle vitamine, sottolineando l’importanza di un adeguato regime alimentare e di un corretto stile di vita.

Attenzione ai farmaci topici contenenti Ketoprofene: documentate gravi reazioni avverse cutanee

Attenzione ai farmaci topici contenenti Ketoprofene, normalmente usato in caso di infiammazioni traumatiche, quali distorsioni, contusioni, stiramenti, oppure reumatiche, perché possono indurre gravi reazioni cutanee.

Il Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali ha condotto una revisione scientifica, ai sensi dell’articolo 107 della direttiva 2001/83/CE, dopo la segnalazione di 371 reazioni avverse, il 62% delle quali considerate gravi, verificatesi in Francia tra il gennaio del 2001 e il febbraio del 2009.

Proprio per questo motivo, l’ AFSSAPS ha sospeso l’autorizzazione al commercio e alla distribuzione in Francia di tutti i farmaci topici a base di Ketoprofene, presente anche in tutti i Paesi Europei ad eccezione dell’Olanda.

Farmaci contenenti Ketoprofene in Italia

In Italia, considerato farmaco di automedicazione e quindi esente da prescrizione medica, è presente nei seguenti prodotti:

  • Artrosilene gel e schiuma
  • Fastum gel
  • Flexen gel
  • Ibifen gel e soluzione cutanea
  • Hiruflog gel
  • Keplat cerotto medicato
  • Ketofarm gel
  • Ketoprofene Almus gel
  • Ketoprofene Eurogenerici gel
  • Ketoprofene Ratiopharm Italia gel
  • Ketoprofene Sandoz crema
  • Ketoprofene Teva gel
  • Lasoartro crema
  • Lasonil gel
  • Liotondol gel
  • Oki gel
  • Orudis gel e crema

L’uso di farmaci topici a base di Ketoprofene può indurre reazioni di foto-tossicità e/o di foto-allergia che si manifestano con una sintomatologia pruriginosa, associata ad eritema (arrossamento), vescicole e bolle che possono estendersi anche oltre la zona di applicazione.

In alcuni casi, la reazione cutanea può essere anche sistemica con il coinvolgimento ampio della superficie corporea, tale da richiedere il ricovero della persona.

Entrambe le reazioni avverse sono la conseguenza dell’interazione a livello cutaneo, dove è stato applicato il farmaco, tra il Ketoprofene e i raggi UV.

In particolare, la reazione foto-tossica si può verificare anche dopo la prima volta che viene usato il farmaco ed è dovuta alla degradazione, da parte dei raggi UV, del principio attivo che favorisce la formazione di radicali, quali il benzoilfeniletano, lesivi per la cute.

Al contrario, la reazione foto-allergica si manifestata solo in un soggetto sensibilizzato al Ketoprofene, la volta successiva al primo utilizzo, quando il sistema immunitario dell’individuo, dopo aver riconosciuto il principio attivo, scatena la reazione allergica.

Inoltre, alcuni eccipienti quali l’Aurantii amari floris aetheroleum e la Lavandulae etheroleum, presenti in alcune formulazioni, possono concorrere ad indurre o ad esacerbare la reazione allergica.

L’ Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e l’ Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), hanno pubblicato un comunicato stampa per minimizzare il rischio di tali reazioni avverse, hanno stabilito che i farmaci a base di Ketoprofene devono essere dispensati solo su prescrizione, pertanto non sono più considerati di automedicazione, e raccomandano di:

  • lavare accuratamente le mani dopo ogni applicazione
  • evitare l’esposizione alla luce solare diretta, anche quando il cielo è velato, e alle sorgenti artificiali di UVA sia durante il trattamento sia nelle due settimane successive all’interruzione
  • non usare il Ketoprofene topico sotto un bendaggio occlusivo
  • interrompere immediatamente il trattamento al manifestarsi di qualsiasi reazione cutanea insorta dopo l’applicazione del prodotto

Ketoprofene e filtri solari: attenzione alla co-sensibilizzazione

Di recente, è stato segnalato che chi ha avuto una reazione di fotosensibilizzazione al Ketoprofene è a rischio di co-sensibilizzazione nei confronti di un’altra sostanza: l’octocrilene.

La co-sensibilizzazione è una reazione cutanea, simile a quella descritta per il ketoprofene, che si manifesta dopo aver applicato prodotti contenenti l’octocrilene.

Praticamente, significa che se un soggetto ha avuto una reazione al ketoprofene può averne un’altra qualora dovesse applicare cosmetici a base di octocrilene.

L’octocrilene (2-etilesil-2-ciano-3,3-difenilacrilato; CAS No. 6197-30-4) è un filtro solare che appartiene alla famiglia dei cinnamati e fornisce protezione nei confronti dei raggi UV.

Combinato con altre sostanze, presenti nelle creme solari, ne migliora la fotostabilità e ne aumenta il fattore di protezione solare.

Considerata una molecola non-allergenica, non irritante e non mutagena, negli ultimi 10 anni è stata largamente usata, oltre che nei filtri solari, anche nella preparazione di molti cosmetici quali:

  • filtri solari
  • shampoo
  • dopo-barba
  • gel doccia
  • bagnoschuma
  • creme per la pelle
  • rossetti
  • creme anti-età
  • detergenti per il trucco
  • spray per i capelli

Recenti segnalazioni, descritte in letteratura, hanno però dimostrato che l’octocrilene può indurre reazioni allergiche specie nei soggetti che hanno già avuto una manifestazioni indotta e scatenata dall’applicazione di farmaci contenenti ketoprofene.

Prestate attenzione anche ai cosmetici evitando di acquistare quelli contenenti octocrilene.

Infine, date le posibili reazioni di fotosensibilizzazione, tutti i medicinali contenenti ketoprofene per uso topico sono ora soggetti a prescrizione medica.

Curiosità: il capezzolo sovrannumerario

Spesso capita di scoprire durante la visita dermatologica clinica manifestazioni cutanee congenite, assolutamente benigne, conseguenti ad anomalie che si verificano durante la gestazione e che interferiscono con il delicato meccanismo di sviluppo fetale.

Il capezzolo sovrannumerario ne è un esempio e allo stesso modo dei mammiferi è possibile documentare la presenza nell’uomo di uno o più capezzoli, localizzati sulla «linea del latte» che dall’ascella si estende fino all’inguine.

La presenza di tale capezzolo sovrannumerario è conseguente ad un anomalia che interferisce con lo sviluppo della cresta mammaria, presente durante la quarta settimana di vita embrionale, che scompare poi rapidamente nel feto umano.

Quando la ghiandola mammaria accessoria è completamente sviluppata si parla di polimastia mentre se presente soltanto il capezzolo di politelia.

Spesso il capezzolo sovrannumerario è familiare, quindi è comune il riscontro della stessa anomalia in alcuni parenti sia di sesso femminile sia maschile.

Inutile l’asportazione anche perché spesso, se non riconosciuti correttamente dallo specialista, sono confusi con i nevi.

Infine, anche se tale manifestazione è assolutamente benigna, ricordo che, a volte, può associarsi ad anomalie a carico dell’apparato urologico e genitale che sarebbe opportuno indagare.

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