La salute della pelle a cura di
Dermatologia Myskin

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Dermatologia Myskin

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Noninvasive analysis and minimally invasive in vivo experimental challenges of the skin barrier

Abstract


In this review, we aim to give a concise and selective overview of noninvasive biophysical analysis techniques for skin barrier analysis (transepidermal water loss, electrical methods, confocal Raman microspectroscopy, sebumeter, reflectance spectrophotometry, tristimulus colorimetry, diffuse reflectance spectroscopy and reflectance confocal microscopy), including advantages and limitations.
Rather than giving an exhaustive description of the many techniques currently available, we show the usefulness of a representative selection of techniques in the functional and morphological evaluation of the skin barrier.
Furthermore, we introduce human minimally invasive skin challenging models as a means to study the mechanisms regulating skin homoeostasis and disease and subsequently show how biophysical analysis techniques can be combined with these in vivo skin challenging models in the functional and morphological evaluation of the skin barrier in healthy human skin.
We are convinced that the widespread application of biophysical analysis techniques in dermatological practice and in cosmetic sciences will prove invaluable in offering personalized and noninvasive skin treatment solutions. Furthermore, combining the human in vivo challenging models with these novel noninvasive techniques will provide valuable methodology and tools for detailed characterization of the skin barrier in health and disease.

 

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Disidratazione, funzione barriera della cute e non solo: come si misura

Quando consideriamo l’analisi della pelle è immediato pensare all’osservazione diretta da parte dell’occhio esperto di un dermatologo, capace di distinguere tra diverse patologie e valutarne la severità.

A qualcuno sarà anche capitato di avere qualche millimetro di pelle prelevato in anestesia locale, una procedura chiamata biopsia cutanea: il tessuto prelevato è in seguito analizzato al microscopio. Questo è il metodo più accurato, anche se invasivo, per determinare la natura di una lesione.

Probabilmente non molti sanno che un terzo modo per analizzare la pelle consiste nell’uso di strumentazioni non invasive per misurarne le proprietà biofisiche e morfologiche.

Quali sono queste proprietà, e con quali strumentazioni possono essere misurate? Prima di rispondere a queste domande, è opportuno fare una breve introduzione sulla fisiologia cutanea.

La pelle e la sua funzione di barriera

Una delle funzioni più importanti della pelle è proteggere il corpo dall’attacco di agenti esterni e dalla perdita di acqua ed elettroliti. Questa funzione di barriera è adempiuta dallo strato più esterno dell’epidermide, chiamato strato corneo.

Semplificando, la sua struttura può considerarsi analoga a un muro formato da mattoni e malta, dove i mattoni sono costituiti da cellule (corneociti) e la malta dai lipidi presenti tra i corneociti.

Proprio come un muro, l’integrità di questa barriera dipende dalle caratteristiche e dalla quantità dei suoi componenti. Per esempio, l’ assottigliamento del suo spessore o la diminuzione dei lipidi in essa contenuti possono indebolirne la funzione. Anche l’idratazione dei corneociti è fondamentale per mantenere l’integrità e l’elasticità di barriera.

Lo strato corneo e il resto dell’epidermide vengono riforniti di sostanze nutritive dai vasi sanguigni presenti nel derma, lo strato più profondo della pelle posto a contatto con il tessuto adiposo sottocutaneo. Questo “microcircolo cutaneo” è responsabile, insieme alla melanina nell’epidermide, per il colore della pelle: ad un aumento del volume sanguigno la pelle appare arrossata (eritema), come per esempio avviene in caso di infiammazione e in prossimità di tagli e ferite.

Essendo la pelle facilmente accessibile ad un esame esterno, svariate strumentazioni sono state sviluppate nel corso degli anni per valutarne le proprietà in modo non invasivo, cioè senza danneggiare la pelle. Nel seguito di questo articolo vedremo una selezione delle più diffuse.

Strumentazioni non invasive per l’analisi di proprietà biofisiche cutanee

Idratazione

I metodi più diffusi per misurare l’idratazione cutanea si basano sulla misura di proprietà elettriche dello strato corneo.

Essi offrono quindi misure indirette, in quanto le proprietà elettriche dipendono sì dall’idratazione, ma non misurano la quantità assoluta di acqua.

Capacità (attitudine di un corpo ad accumulare carica elettrica) e conduttività (attitudine di un conduttore ad essere percorso da corrente elettrica) sono le proprietà solitamente misurate da questi strumenti: una pelle secca, quindi con meno contenuto di acqua, è associata a minore capacità e conduttività elettriche.

Gli strumenti consistono in sensori, usualmente più piccoli di 1 cm2, posti a contatto con la pelle.

La misurazione dura pochi secondi e il valore (espresso in unità arbitrarie) viene mostrato immediatamente su un display.

Integrità di barriera

Il metodo più diffuso per misurare l’integrità di barriera si basa sulla misurazione del flusso di vapore acqueo che si verifica dall’interno verso l’esterno dello strato corneo.

Questo flusso, definito TEWL (dall’inglese Transepidermal Water Loss) ed espresso in grammi per unità di superficie per ora (g/m2 h), è dovuto a un processo di diffusione passiva e non è da confondersi con la traspirazione.

Anche in questo caso si tratta di una misurazione indiretta, in quanto i componenti dello strato corneo responsabili della sua integrità (come i lipidi) non vengono misurati.

Se lo strato corneo è danneggiato, un maggiore flusso di vapore acqueo sarà in grado di attraversare la barriera, mentre se lo strato corneo è integro, il flusso sarà contenuto (solitamente inferiore a 15 g/m2 h).

Gli strumenti consistono in piccole camere cilindriche, usualmente più piccole di 1 cm2 e contenenti sensori di temperatura e umidità, poste a contatto con la pelle. La misurazione dura fino a 1-2 minuti e il valore di TEWL viene calcolato dal sofware installato sul pc collegato allo strumento.

Mentre i metodi elettrici e TEWL offrono misure indirette, negli ultimi anni si è diffusa una tecnica in grado di misurare sia la quantità dei componenti dello strato corneo, tra cui acqua e lipidi, sia lo spessore dello strato corneo, offrendo quindi una misura diretta sia di idratazione che di integrità di barriera. 

In questa tecnica, chiamata spettroscopia di Raman, la pelle viene illuminata da un raggio laser e l‘informazione sui componenti dello strato corneo è ottenuta dall’analisi dei fotoni che hanno rilasciato parte della loro energia a molecole dello strato corneo.

Ancora complessa e costosa, ma con soluzioni più semplici ed economiche attualmente in fase di studio, la spettroscopia di Raman ha grande potenziale in dermatologia per la sua misura diretta e non invasiva dei componenti della pelle.

Eritema e Pigmentazione

I metodi usati per misurare eritema e pigmentazione si basano sull’analisi della differenza tra la luce emessa da una sonda posta a contatto della pelle e la luce riflessa dalla pelle stessa.

Questa differenza è determinata dall’assorbimento della luce da parte dell’emoglobina contenuta nel sangue e della melanina contenuta nei melanociti dell’epidermide.

Maggiore la quantità di emoglobina e melanina, maggiore sarà l’intensità di, rispettivamente, eritema e pigmentazione.

Gli strumenti più usati esprimono l’intensità di eritema e pigmentazione come indici (in unità arbitrarie), oppure come coordinate di uno spazio tridimensionale (spazio di colore CIE Lab).

Strumentazioni non invasive per l’analisi morfologica

Dermatoscopia

La dermatoscopia o dermoscopia è la metodologia diagnostica per immagini più diffusa in dermatologia.

Questa metodologia consiste nell’applicare sulla lesione da esaminare una goccia di liquido incolore (per esempio olio da immersione, alcool, acqua o gel da ecografia) e nell’appoggiare su di essa la lente dello strumento (dermatoscopio).

Il liquido annulla il potere riflettente dello strato corneo, permettendo al dermatologo di visualizzare le strutture interne della lesione che altrimenti non sarebbero visibili a occhio nudo.

Questa tecnica, brillante nella sua semplicità, permette così una maggiore accuratezza diagnostica. Un approfondimento sulla dermatoscopia e sulle sue applicazioni, a cura della dott.ssa Gasparini, è presente su Myskin: la dermatoscopia per i nei.

Microscopia confocale a scansione laser

Questa metodologia diagnostica per immagini è basata, come la dermatoscopia, sull’applicazione di una goccia di liquido incolore sulla lesione da esaminare per annullare il potere riflettente dello strato corneo

La pelle viene successivamente scansionata da un raggio laser, che viene riflesso in modo diverso a seconda del potere riflettente delle varie microstrutture cutanee.

Analizzando i fotoni uscenti dalla pelle e focalizzando il raggio laser a diverse profondità, è possibile ottenere immagini dei vari strati della pelle, fino al derma.

Molto più complessa della dermatoscopia, questa tecnica consente però di visualizzare la struttura cutanea con una precisione microscopica ed è per questo chiamata anche “biopsia ottica”.

Le strumentazioni non invasive per l’analisi della pelle vengono usate da anni nella valutazione di efficacia e sicurezza di prodotti cosmetici, in quanto forniscono misurazioni obiettive e riproducibili di proprietà cutanee.

E per quanto riguarda la diffusione di queste strumentazioni nello studio del dermatologo? Tra quelle citate, la dermatoscopia è la tecnica più assodata. La microscopia confocale a scansione laser è già disponibile in alcuni centri e cliniche universitarie. Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia di questa tecnica nella diagnosi di cancro della pelle (melanoma e non melanoma) e di Psoriasi a placche: in questi casi, precisi criteri e algoritimi diagnostici sono stati elabrati per riconoscere le caratteristiche delle lesioni e per valutare l’efficacia di trattamenti.

TEWL e i metodi elettrici per la misurazione indiretta dell’ idratazione cutanea sono stati usati nella valutazione di patologie infiammatorie che colpiscono l’integrità di barriera, come la dermatite atopica e la psoriasi.

Anche in questi casi, differenze oggettive e riproducibili sono emerse nella misurazione di pelle sana e lesionata. 

Nonostante la comprovata utilità nel migliorare l’accuratezza diagnostica e nel monitorare l’efficacia di trattamenti senza disagi per i pazienti, le strumentazioni non invasive non sono ancora molto diffuse nella pratica clinica.

Uno dei motivi è legato alla necessità di eseguire le misurazioni in condizioni ambientali strettamente controllate, dato che le proprietà biofisiche cutanee sono fortemente influenzate da variazioni di temperatura e umidità.

Secondo le linee guida per la misurazione di TEWL, idratazione cutanea ed eritema, infatti, il paziente deve rimanere a riposo per almeno 15 minuti in una stanza con temperatura e umidità controllate, con la parte di pelle da misurare esposta all’ambiente esterno e scoperta da vestiti.

Questo aspetto potrebbe risultare problematico da combinare coi tempi di una normale visita dermatologica.

Un secondo aspetto è legato al costo delle strumentazioni, che in caso di tecniche sofisticate come spettroscopia di Raman e microscopia confocale a scansione laser può aggirarsi intorno a centinaia di migliaia di euro.

All’investimento monetario si aggiunge l’investimento in termini di tempo per training e corsi di aggiornamento per arrivare a padroneggiare la tecnica.

Come fare quindi per favorire la diffusione delle strumentazioni non invasive nella pratica clinica?

In primo luogo è necessario instaurare collaborazioni tra dermatologi, ingegneri e aziende produttrici al fine di sviluppare strumentazioni e algoritmi diagnostici che possano integrarsi nella normale pratica clinica.

In secondo luogo, studi clinici multicentro dovrebbero essere pianificati per valutare la sensitività, specificità e costo-efficacia delle strumentazioni rispetto ai metodi diagnostici tradizionali, come le biopsie cutanee.

Infine, corsi di specializzazione e aggiornamento dovrebbero essere offerti per aumentare la consapevolezza dei dermatologi riguardo ai principi, usi e limitazioni delle strumentazioni non invasive per l’analisi della pelle.

Pemfigoide bolloso: aspetto, diagnosi e trattamento

Il pemfigoide bolloso rientra nel gruppo delle dermatosi bollose autoimmuni sottoepidermiche, delle quali ne rappresenta un buon 70%.
Colpisce senza distinzione di sesso e razza gli adulti sopra i 70 anni, solo in modo eccezionale i bambini.

Aspetto clinico

I primi sintomi di questa patologia sono caratterizzati da prurito in assenza di manifestazioni cliniche, sonno disturbante e cronico, “intertrigini” inguinali o sottomammarie e sviluppo di chiazze simili a eczema o orticaria.

L’eruzione cutanea caratteristica del pemfigoide bolloso si presenta sotto forma di bolle tese che insorgono spontaneamente, Nikolski-negative, con all’interno un liquido limpido. Queste lesioni vanno da 0,5 a svariati centimetri e si sviluppano a ridosso di chiazze eritematose. Alle bolle si associano anche macule e papule simili a eritemi o orticaria, e croste ed erosioni causate dalla rottura delle bolle stesse.

Tutte queste lesioni si associano a un intenso prurito.

pemfigoide-bolloso
Pemfigoide bolloso

Le manifestazioni cutanee di questa patologia si sviluppano in modo simmetrico nelle regioni flessorie degli arti, nella zona anteriore delle cosce e sull’addome. Solo nel 10-20% dei casi ne è affetta anche la mucosa orale.

Alla guarigione, non restano grani di miglio o cicatrici distrofiche.

Esistono numerose forme atipiche di questa patologia come:

  • il pemfigoide “disidrosiforme”, caratterizzato dallo sviluppo di bolle nelle sedi palmoplantari o su cicatrici
  • lesioni vescicolari simili a eczema erpetiforme
  • lesioni delle grandi pieghe o del tipo di una prurigo nodulare
  • eritrodermia in casi eccezionali.

Decorso

Questa patologia può evolvere in modo imprevedibile, motivo per il quale non è possibile esprimersi sulla prognosi. Nei pazienti anziani sono frequenti e spesso molto gravi gli effetti collaterali dovuti alla terapia a base di corticosteroidi, così come lo sviluppo di resistenze a questi farmaci o dipendenza da essi. Frequenti sono le recidive a distanza di 2-6 anni dalla sospensione del trattamento. Il tasso di mortalità a distanza di un anno dalla diagnosi si aggira tra il 12 e il 30% dei casi.

Associazioni

Il pemfigoide bolloso solo raramente (o casualmente) si associa a malattie come artrite reumatoide, vitiligine, lupus eritematoso, pemfigo volgare, per citarne alcuni.

Al contrario, chi soffre di questa patologia ha un rischio maggiore di sviluppare anche psoriasi, sclerosi multipla e diabete

Diagnosi

E’ stato dimostrato che i pazienti affetti da pemfigoide bolloso presentano di frequente ipereosinofilia, a volte marcata, che si può associare a un innalzamento delle IgE sieriche.

Istologia

Dall’esame istologico effettuato su un campione prelevato da una bolla cutanea di recente formazione si possono individuare aspetti di bolla sottoepidermica, senza necrosi del tetto né acantolisi, nella quale sono presenti fibrina ed elementi cellulari come olimorfonucleati neutrofili ed eosinofili.

Studi immunopatologici

Il metodo dell’immunofluorescenza diretta ha un alto valore diagnostico se utilizzato su un campione di cute peribollosa prelevato tramite biopsia in quanto permette di individuare depositi lineari di IgG e/o di C3 (a volte associati ad altre immunoglobuline) lungo la membrana basale dell’epidermide.

Applicando l’immunofluorescenza indiretta su un campione di cute intatto prelevato da un paziente affetto da pemfigoide si può rilevare la presenza di IgG sierici anti-membrana basale dell’epidermide in circa il 90% dei casi.

L’immunoprecipitazione e l’immunostampa rilevano la presenza di autoanticorpi sierici specifici in circa l’80% dei pazienti affetti dal pemfigoide bolloso.

Attraverso l’immunomicroscopia elettronica diretta su campioni prelevati da cute peribollosa è possibile evidenziare depositi di immunoreattanti (IgG, C3) situati nella parte alta della lamina lucida, con rafforzamento del segnale in corrispondenza degli emidesmosomi.

Diagnosi differenziale

L’immunofluorescenza diretta e l’esame istologico convenzionale permettono di differenziare il pemfigoide bolloso da pemfigo, dermatite erpetiforme, eritema polimorfo, dermatosi a IgA lineari e tossidermie bollose.

L’immunofluorescenza indiretta su cute separata consente di distinguere il pemfigoide bolloso da una forma infiammatoria dell’epidermolisi bollosa acquisita.

Esami immunopatologici più raffinati, come l’immunomicroscopia elettronica e il Western blot, permettono di escludere le dermatosi bollose autoimmuni sottoepidermiche a depositi lineari di IgG e/o C3 in tutti i casi atipici con prevalente interessamento delle mucose, quando sono colpite sedi insolite, o quando le lesioni evolvono lasciando esiti cicatriziali.

Patogenesi

E’ stato ormai ampiamente dimostrato che il bersaglio degli autoanticorpi (BP230 e BP180) nel pemfigoide bolloso sono gli emidesmosomi, ossia quelle strutture che connettono l’epidermide alla lamina lucida favorendo la coesione dermo-epidermica.

Trattamento del Pemfigoide bolloso

Fino alla completa riepitelizzazione delle erosioni lasciate dalle bolle, il trattamento viene eseguito in ospedale, ogni giorno, per evitare sovrainfezioni locali o sistemiche.

Vengono praticati bagni con asettici e successivamente si applicano topici oleosi o sulfadiazina argentica. La medicazione si completa con tulle grasso sterile.

Forme estese ed evolutive di pemfigoide bolloso vengono trattate in via preferenziale in modo sistemico, con prednisone o prednisolone (1 mg/kg/die), facendo attenzione a compensare carenze vitaminiche, perdite idriche e proteiche.

Nei casi in cui si manifesta corticoresistenza, corticodipendenza o controindicazione al trattamento, si può optare per terapie alternative, come ad esempio l’associazione di immunosoppressori (azatioprina, 100-10 mg/die, o clorambucil, 4-6 mg/die) ai cortisonici.

Corticosteroidi topici di classe I vengono prescrizzi a quei pazienti che presentano forme di pemfigoide bolloso localizzate, paucilesionali e/o scarsamente evolutive.

Intertrigine: una patologia dalle molteplici cause

L’Intertrigine o dermatosi infiammatoria delle pieghe è una patologia delle pieghe cutanee, siano esse grandi (come quelle ascellari, sottomammarie e inguinali) o piccole (come quelle mimiche del viso, dell’ombelico e degli spazi interdigitali di mani e piedi).

Eziologia

Le cause dell ‘Intertrigine sono molteplici e didatticamente sono distinte in tre grandi gruppi:

Diagnosi

La diagnosi di Intertrigine è possibile solo dopo la visita clinica da parte del dermatologo. In alcuni casi può essere utile eseguire un esame con luce di Wood per rilevare la presenza di una fluorescenza rosso porpora indicativa di infezioni da Corynebacterium minutissimum (Eritrasma).

Altre volte, si può eseguire l’esame micologico per rilevare la presenza di lieviti o dermatofiti.
Infine, può essere necessario eseguire una biopsia cutanea per un’indagine istologica sul pezzo di cute prelevato oppure per eseguire l’esame di immunoflurescenza diretta nel caso in cui si sospettasse una malattia autoimmune cutanea quale ad esempio il  Pemfigo o il Pemfigoide.

Esempi di patologie che causano l’intertrigine alle pieghe ascellari e inguinali.

Oltre alle patologie precedentemente menzionate esistono molteplici altre manifestazioni che possono causare l’intertrigine.
Di seguito alcuni esempi di patologie dermatologiche che interessano le pieghe del corpo quali quelle delle ascelle e dell’inguine.

Pseudoflebite di Mondor

La Pseudoflebite di Mondor è una linfangite della parete toracica superolaterale, spesso scatenata da un trauma o da una sollecitazione anormale delle strutture regionali. E’ una patologia rara, con predilezione per il sesso femminile, e si manifesta prevalentemente tra i 30 e i 60 anni.

I sintomi sono caratterizzati dalla comparsa di un cordone infiammatorio che si manifesta prima nel cavo ascellare e successivamente si espande lungo la superficie laterale del tronco.

Solo in casi eccezionali si presenta su entrambi i lati

Questa lesione ha un diametro inferiore a 1 cm, è mobile sulla fascia e si estende in lunghezza per qualche decina di centimetri.

Il solo trattamento è il riposo. Il decorso è di 8/12 settimane dopo le quali risolve spontaneamente.

Granuloma da zirconio

Il Granuloma da zirconio non è altro che una dermatosi dermica granulomatosa indotta dall’uso del lattato di zirconio a livello dei cavi ascellari e viene annoverato tra le tante dermatosi indotte dall’uso smodato di cosmetici.

Il lattato di zirconio, usato per periodi prolungati come antitraspirante e antisettico, penetra nel derma e provoca una risposta infiammatoria molto simile a una reazione da ipersensibilità. Questa risposta si manifesta come un’eruzione papulosa cronica pruriginosa. Il paziente guarisce in pochi mesi o al massimo due anni sospendendo semplicemente l’esposizione ai sali di zirconio.

Dermatite granulomatosa interstiziale

Questa tipologia di dermatite si manifesta con lesioni dolorose cordoniformi, dall’aspetto teso, che si sviluppano a livello ascellare e toracico. La diagnosi è istologica, dopo aver eseguito la biopsia cutanea di un pezzo di cute prelevato, e quando confermata è necessario ricercare la malattia sistemica, ad esempio vasculite, poliartrite, ecc., eventualmente associata.

Eritrasma

L’Eritrasma è un’infezione dovuta ad un batterio (Corynebacterium minutissimum), si manifesta a livello delle pieghe simile ad una chiazza ben delineata e di color camoscio. Esaminata con luce di Wood, questa lesione assume una colorazione rosso corallo, caratteristica. La terapia consiste nell’applicare localmente soluzioni antibiotiche (eritromicina, clindamicina) o imidazolici.

Tricomicosi ascellare

La Tricomicosi ascellare o tricobatteriosi è un’infezione asintomatica causata da corinebatteri (non è una micosi). Si caratterizza per la comparsa di minute manifestazioni giallastre (raramente rossi o neri), simili a guaine di diametro inferiore a 1 mm (aggregati batterici) che aderiscono ai peli ascellari o pubici.

L’UNICO SINTOMO VISIBILE, CHE DESTA ATTENZIONE, È IL SUDORE CHE APPARE COLORATO

La diagnosi differenziale viene fatta con le lesioni da Piedra blanca (micosi cosmopolita che interessa barba, baffi e capelli) e lendini da pediculosi (pubica o ascellare) in quanto la tricobatteriosi solo raramente può interessare i genitali o le ascelle.

Il trattamento consiste nella rasatura della regione e/o nell’applicazione di lozioni a base di derivati imidazolici.

Acanthosis nigricans, fibromi penduli e sindrome X

La sindrome X è identificata da un quadro clinico piuttosto complesso in cui più patologie sono associate tra loro: parliamo di ipertensione arteriosa, obesità, intolleranza ai carboidrati, diminuzione del colesterolo HDL e ipertrigliceridemia. L’insulino-resistenza alla quale consegue un’iperinsulinemia sono gli elementi caratterizzanti di questa patologia.

Nei pazienti affetti da questa sindrome, si riscontrano con grande frequenza lesioni cutanee delle pieghe, tra cui fibromi penduli e acanthosis nigricans, che costuiscono elementi con grande valore diagnostico e prognostico.

Cura dell’Intertrigine

Il trattamento dell’Intertrigine varia a seconda della causa responsabile del problema e quindi della malattia dermatologica.

In tutti i casi però è verosimile che venga sempre affiancata alla terapia specifica anche una sintomatica per lenire e gestire i segni e i sintomi dell’Intertrigine, quali soprattutto l’essudazione o la macerazione.

Inoltre, se il problema cutaneo dell’Intertrigine, dovuto ad esempio ad una Micosi, è associato al Diabete è importante valutare anche se tale patologia metabolica è compensata oppure se i livelli di glicemia sono altalenanti.

 

Cosa sapere sul capezzolo introflesso

Un capezzolo introflesso o retratto (noto anche come ‘capezzolo cieco‘ o ‘capezzolo invertito) è una malformazione dello stesso il cui tratto distintivo è l’assenza di prominenza del capezzolo che si presenta piatto contro l’areola o rivolto verso l’interno.
L’areola è l’area di pelle circolare pigmentata attorno al capezzolo.

In alcune persone i capezzoli si presentano introflessi già dalla nascita, altre li sviluppano più tardi nella vita. Possono averli sia uomini che donne e a volte solo uno dei due è introflesso.

I capezzoli introflessi non sono motivo di preoccupazione. Inoltre, non rendono necessariamente difficile l’allattamento al seno, poiché il bambino può aggrapparsi a tutta l’areola.

Tuttavia, a seconda del grado di introflessione, l’allattamento al seno protrebbe essere molto difficile o addirittura impossibile.

In questo articolo, esaminiamo le cause di questo tipo di malformazione del capezzolo, il suo impatto sull’allattamento al seno e la sensibilità e le opzioni di trattamento.

È normale avere i capezzoli introflessi?

L’introflessione è una normale variazione nella forma del capezzolo, e di solito non è motivo di preoccupazione. I medici concordano sul fatto che generalmente non è necessario intervenire su questo tipo di malformazione.

Tuttavia, un medico può raccomandare un trattamento se la causa sottostante dell’introflessione è dannosa, come una neoplasia o un’infiammazione della mammella.

Si stima che circa il 10% delle donne abbia almeno un capezzolo retratto, e che anche gli uomini presentano questa caratteristica

Alcune persone pensano che i capezzoli introflessi rendano difficile l’allattamento al seno. La stimolazione può far sporgere il capezzolo e, a seconda di quanto sporge, il bambino potrebbe dover aggrapparsi all’intera areola. Alcune persone scoprono che i loro capezzoli sono meno introflessi dopo l’allattamento.

Come trattare un capezzolo introflesso

Una persona con questa malformazione potrebbe voler cambiare la forma del capezzolo perché preoccupata di avere problemi con l’allattamento al seno o per ragioni estetiche.

Rivolgiti a un medico prima di provare i seguenti metodi:

La tecnica di Hoffman: consiste nello stirare il capezzolo in modo manuale con movimenti specifici.
Dispositivi di aspirazione: rappresentano un modo non invasivo per estrarre il capezzolo.
Piercing: un piercing può aiutare a mantenere il capezzolo in posizione verticale.
Chirurgia estetica: i professionisti del settore sanitario possono utilizzare diverse procedure chirurgiche per modificare la forma del capezzolo in modo che punti verso l’esterno.
In qualsiasi procedura, il medico mira a preservare la sensibilità usuale del capezzolo, ad evitare cicatrici visibili e a mantenere il funzionamento del dotto mammario per consentire l’allattamento al seno.

Cosa provoca un capezzolo introflesso?

Una persona può avere capezzoli introflessi dalla nascita, condizione che prende il nome di introflessione congenita, oppure può svilupparli più tardi nel corso della vita, condizione che prende il nome di introflessione acquisita.

L’introflessione acquisita può indicare un problema medico, come l’infiammazione del tessuto mammario.

E’ consigliabile rivolgersi a un dermatologo se uno o entrambi i capezzoli si introflettono in un breve periodo

Le patologie che possono causare l’introflessione dei capezzoli comprendono:

  • mastite, che è un’infezione della ghiandola mammaria
  • ectasia del condotto mammario, che è una dilatazione anormale di un dotto nel tessuto mammario
  • un ascesso sotto l’areola
  • complicazioni successive alla chirurgia del seno
  • cancro al seno

Il cancro al seno provoca anche altri cambiamenti. Se una persona nota uno di questi cambiamenti, come un capezzolo squamoso, gonfio, o perdite dal capezzolo, dovrebbe rivolgersi a un medico.

Gradi di introflessione del capezzolo

Esistono tre gradi di introflessione del capezzolo:

Grado 1: una persona può facilmente estrarre il capezzolo, che mantiene la sua proiezione. Questo grado di introflessione non causa grossi problemi con l’allattamento al seno.

Grado 2: una persona può estrarre il capezzolo, ma non così facilmente, e questo tende a ritrarsi. Si potrebbe avere difficoltà ad allattare al seno.

Grado 3: una persona potrebbe non essere in grado di estrarre il capezzolo. Premendo il capezzolo verso l’esterno, si ritrae immediatamente. L’allattamento al seno può essere molto difficile o impossibile.

capezzoli-invertiti
capezzoli introflessi

Impatto sull’allattamento al seno

I capezzoli introflessi possono rendere l’allattamento al seno impegnativo, ma comunque un bambino può aggrapparsi a tutta l’areola, portando il capezzolo in fondo alla gola.
Ciò significa che l’allattamento al seno è generalmente possibile anche in presenza di questa malformazione. Inoltre, la stimolazione del capezzolo spesso lo fa sporgere, e ci sono varie tecniche da provare.

Per alcune donne i capezzoli introflessi possono iniziare a sporgere naturalmente durante la gravidanza e l’allattamento.

In che modo i capezzoli introflessi influenzano la sensibilità?

La sensibilità dei capezzoli varia da persona a persona, ma una persona con questa malformazione spesso sperimenta lo stesso grado di sensibilità di una persona con capezzoli sporgenti.

Per la maggior parte delle persone, l’introflessione non influisce sulla sensibilità

Nella maggior parte dei casi, un capezzolo introflesso non è preoccupante e non richiede trattamento. Spesso è presente fin dalla nascita.

Tuttavia, se una persona nota un cambiamento nella forma del capezzolo, dovrebbe consultare un dermatologo.

I cambiamenti, specialmente quelli che si verificano in un breve periodo, possono segnalare una condizione di salute sottostante.

In sintesi

L’introflessione del capezzolo di solito non ha alcun impatto sulla salute di una persona e non è motivo di preoccupazione. È abbastanza comune e può spesso essere temporaneamente corretto con la stimolazione manuale. Alcune persone preferiscono la correzione permanente con la chirurgia estetica.

Chiunque notasse un cambiamento nella forma, nelle dimensioni o nella consistenza del seno o del capezzolo dovrebbe consultare un dermatologo.


Riferimenti scientifici

Aesthetic and predictable correction of the inverted nipple – Michael J. Lee, Patricia A Depoli, Laurie A. Casas –  Aesthetic surgery journal

Come è fatta l’epidermide?

L’epidermide è lo strato più esterno della cute e si caratterizza per la presenza di quattro tipi di cellule:

  • Cheratinociti
  • Melanociti
  • Cellule di Langerhans
  • Cellule di Merkel

CHERATINOCITI

I cheratinociti sono le cellule epiteliali presenti in maggiore quantità ed è da essi che deriva l’aspetto squamoso e pluristratificato dell’epidermide.
Durante il loro ciclo di vita, che va dai 12 ai 48 giorni, i cheratinociti subiscono un processo di differenziazione, denominato “cheratinizzazione”, nel corso del quale acquisiscono specifiche modificazioni morfologiche e migrano dallo strato basale verso quello più esterno chiamato corneo.
L’epidermide è costituita da 4 strati distinti che dal più profondo a quello più superficiale sono:

  • strato basale
  • strato spinoso
  • strato granuloso
  • strato corneo

Lo strato basale è costituito da cheratinociti di forma cuboidale o colonnare, con un nucleo grande e ovale e citoplasma ricco in ribosomi e fasci di tonofilamenti. I cheratinociti basali sono disposti in una o due file adese attraverso emidesmosomi alla membrana basale sottostante e rappresentano le cellule germinative dell’epidermide, dalle quali dipende il continuo rinnovamento dell’epitelio.

Lo strato spinoso, posto immediatamente al di sopra di quello basale, si compone di cheratinociti di dimensioni più grandi e forma poligonale, disposti su più file e tenuti insieme da sottili filamenti citoplasmatici denominati “spine”.

Nel passaggio allo strato granuloso i cheratinociti acquisiscono grandi granuli citoplasmatici basofili che prendono il nome di granuli di cheratoialina. In questo strato e nella parte superiore dello strato spinoso sono presenti anche i corpi di Odland, caratteristici corpi lamellari.

Lo strato corneo è quello in cui avviene la completa maturazione dei cheratinociti che si trasformano nelle caratteristiche cellule di questo strato: i corneociti.
I corneociti sono cellule di forma piatta prive di nucleo, di organelli citoplasmatici e di desmosomi. Sono composte esclusivamente da filamenti di cheratina che si aggregano formando grandi macrofibrille. Normalmente, vengono perduti dalla cute sotto forma di squame.

A questi strati, solo a livello palmo-plantare deve essere aggiunto un ulteriore strato: lo strato lucido, posto tra lo strato granuloso e quello corneo.
E’ formato da una o due file di cheratinociti appiattiti che conservano il nucleo, ma che hanno citoplasma denso nel quale è presente una sostanza che rifrange la luce e prende il nome di eleidina.

Il processo di cheratinizzazione fa sì che i cheratinociti dello strato basale replicandosi si trasformano e differenziano in cheratinociti che assumono morfologia e funzione diverse, via via che migrano atraverso i vari strati, fino a diverntare

Le più importanti modificazioni morfologiche e funzionali riguardano lo sviluppo di un involucro intracellulare insolubile, la sintesi di differenti tipi di cheratine e l’espressione di particolari lipidi intracellulari.

Cosa sono le cheratine?

Le cheratine sono delle proteine prodotte dai cheratinociti durante il loro processo di differenziazione durante il quale le cellule di ogni strato producono un set di cheratine preciso e unico.
Ad esempio, le cellule dello strato basale sintetizzano la coppia di cheratine 5 e 14 mentre quello dello strato spinoso la coppia di cheratine 1 e 10.
Le cheratine prodotte sono tenute insieme, a livello dello strato granuloso e corneo dalla filaggrina mentre la loricrina, proteina prodotta a livello dello strato granuloso, unisce e tiene insieme le cheratine con l’involucro delle cellule dello strato corneo.
Se da un lato tale processo contribuisce alla struttura dell’epidermide, dall’altro a livello dello strato granuloso e corneo i corpi di Odland producono un set specifico di lipidi che contribuiranno alla definizione del film idrolipidico cutaneo.
Grazie a questa serie articolata di processi e meccanismi la cute è in gradi di generare un’epidemide caratterizzata da più strati in grado di resistere agli insulti meccanici esterni oltre che a svolgere molteplici altre funzioni come vedremo.

MELANOCITI

I melanociti sono cellule dendritiche presenti a livello dello strato basale dell’epidermide. La loro principale funzione consiste nella produzione della melanina o più propriamente delle melanine.
La densità cellulare dei melanociti varia a seconda della sede corporea: sono più diffuse al viso e ai genitali e meno al tronco.
I melanociti hanno forma rotondo-ovalare e sono caratterizzati da numerosi prolungamenti, chiamati dendrito che dal colrpo cellulare si estendono verso gli strati superficiali dell’epidermide prendendo contatto con vari cheratinociti. All’interno del loro citoplasma hanno degli organuli denominati melanosomi.

Cosa sono i melanosomi?

Sono degli organuli cellulari che contengono l’enzima tirosinasi che prende parte alla produzione delle melanine chiare (feomelanine) e scure (eumelanine) attraverso una reazione articolata: la melanogenesi.

Le melanine prodotte all’interno dei melanociti migrano attraverso i dendriti per poi essere cedute ai cheratinociti contribuendo in questo modo alla pigmentatzione della nostra pelle, al colore dei nostri capelli e dei nostri occhi.

CELLULE DI LANGERHANS

Le cellule di Langerhans sono cellule dendritiche che derivano dal midollo e localizzate nello strato soprabasale dell’epidermide. Rappresentano circa il 3-4% delle cellule epidermiche.
Hanno un nucleo convoluto e nel citoplasma è presente un organello caratteristico: il granulo di Birbeck.

Insieme alle cellule dendritiche e ai Macrofagi, localizzati a livello del Derma, costituiscono parte del SALT (Skin Associated Lymphoid Tissue).

Possono essere definite “cellule sentinella” del sistema immunitario cutaneo  in grado di catturare, a livello della barriera cutanea, gli antigeni per poi migrare a livello del linfonodi, dove prende inizio la risposta immunitaria, oppure di presentarli direttamente ai linfociti T CD4+

Cellule di Merkel

Localizzate  a livello dello strato basale, sono maggiormente presenti nella cute ispessita.

Sono cellule adese ai Cheratoniciti attraverso i desmosomi e da un punto di vista morfologico, a livello microscopico sono caratterizzati da un nucleo lobulato e dalla presenza a livello del citoplasma di granuli sferici.

Inoltre, sono caratterizzate dalla presenza di numerose cheratine e producono diversi neuropeptidi.

Ciò che caratterizza queste cellule a livello erpidermico è la loro associazione ad una sottile terminazione nervosa non mielinizzata, importante per la loro funzione recettoriale. Le cellule di Merkel, infatti, sono in grado di rispondere al tatto esercitato sulla pelle e sono i più semplici recettori di pressione della cute.

 

Candida: cosa sapere

La Candida, più esattamente Candidosi, è un’infezione spesso vaginale causata da un lievito.

E’ una condizione comune che si verifica a causa di una crescita eccessiva di un tipo di “fungo”: la Candida Albicans.

Candida - albicans
Candida albicans @wikimedia

In condizioni fisiologiche a livello della vagina sono presenti batteri e alcuni lieviti ma quando tale equilibrio si modifica o si creano condizioni per cui si possa sviluppare e attecchire la Candida Albicans si manifesta l’infezione che di norma provoca: intenso prurito e perdite vaginali.

Anche la Candidosi, per quanto possa essere una malattia comune e frequente viene considerata una malattia sessualmente trasmessa.

Le infezioni vaginali dovute alla Candida sono il secondo tipo più comune di infezioni dopo quelle batteriche.

Quali sono i sintomi della Candidosi?

I sintomi più frequenti sono:

  • dolore durante i rapporti sessuali
  • sensazione di bruciore durante la minzione
  • prurito
  • rossore
  • perdite biancastre e grumose oppure acquose.

Di solito il periodo di tempo che intercorre tra il manifestarsi dell’infezione e l’inizio del trattamento ha un impatto diretto sulla gravità dei sintomi.
Tuttavia, alcune lievi infezioni da lievito possono migliorare senza trattamento.

Quali sono le cause che favoriscono la Candidosi?

Il fungo Candida è un microrganismo presente in natura nell’area vaginale e soprattutto a livello dell’intestino, ma anche sulla pelle e nella bocca.
I batteri Lactobacillus mantengono la sua crescita sotto controllo.
Se c’è una carenza o uno squilibrio di batteri Lactobacillus rispetto alla Candida, questi batteri non funzioneranno in modo efficace.
Questo porta ad una crescita eccessiva di lievito, che causa i sintomi delle infezioni vaginali da lievito.

Diversi fattori possono causare un’infezione da lievito, tra cui:

  • antibiotici (diminuiscono la quantità di Lactobacillus a livello vaginale)
  • gravidanza
  • diabete
  • immunosoppressione dovuta a farmaci o malattie quali l’HIV
  • ciclo mestruale
  • stress

La Candida albicans è il lievito che più comunemente causa la maggior parte delle infezioni

Come si fa diagnosi di Candida?

La diagnosi è possibile solo eseguendo il tampone vaginale che consente di prelevare del materiale da far analizzare in laboratorio.

Come si cura la Candida?

In base all’entità del problema possono essere consigliati trattamenti locali a base di creme/unguento/ovuli antimicotici oppure farmaci sistemici, da assumente per bocca, che possono essere indicati anche in associazione ai precedenti.

Alcuni dei principi attivi utilizzati sono:

  • itraconazolo
  • clotrimazolo
  • miconazolo
  • fluconazolo

Dopo la cura indicata dal medico sarebbe opportuno, una settimana dopo la sospensione, ripetere il tampone vaginale per avere la certezza che l’infezione sia perfettamente guarita.

Quando una donna esegue la cura per un’infezione da lievito a livello vaginale anche il partner deve eseguirla

in quanto, come scritto sopra, è considerata una malattia a trasmissione sessuale.

Quali sono i trattamenti naturali e alternativi per curare la Candida?

In rete, è facile trovare rimedi naturali per la cura della Candidosi quali ad esempio

  • olio di cocco
  • crema a base di olio dell’albero del tè
  • aglio
  • supposte vaginali di acido borico
  • yogurt bianco assunto per via orale o inserito nella vagina

Sono rimedi che non hanno alcuna comprovata efficacia e che possono complicare l’infezione favorendo in alcuni casi la comparsa di irritazione oltre che ritardare la diagnosi e di conseguenza la cura medica.

Cura medica che in alcuni casi è necessario ripetere perché l’infezione da Candida tende a recidivare facilmente.

Quando ciò si verifica è necessario indagare quali possono essere le possibili cause che concorrono in tutto ciò.

Come è possibile evitare di contrarre la Candida?

Ci sono alcune abitudini alimentari e fattori legati allo stile di vita che possono aiutare ad evitare di incorrere facilmente in un’infezione dovuta alla Candida.

Di seguito alcuni pratici consigli:

  • dieta equilibrata che preveda anche l’assunzione di yogurt o di integratori con lactobacillus
  • intimo di fibre naturali come cotone, lino o seta
  • lavare la biancheria intima in acqua calda

Evita di:

  • indossare pantaloni attillati, collant o leggings
  • utilizzare deodoranti femminili e tamponi o assorbenti profumati
  • indossare per troppo tempo abiti bagnati, in particolare costumi da bagno
  • sostare in vasche idromassaggio o fare frequenti bagni caldi

Altri possibili fattori di rischio sono gli antibiotici assunti ad esempio per curare il mal di gola.

E’ possibile avere rapporti sessuali se è presente un’infezione da Candida?

Il rapporto sessuale in presenza di un’infezione dovuta alla Candida può essere doloroso oltre alla possibilità di trasmettere l’infezione al partner.

Molto meglio evitare di avere rapporti sessuali in attesa di guarire per poi tornare ad una normale vita sessuale.

Cos’è la Gonorrea?

La Gonorrea è un’infezione causata dalla Neisseria Gonorrhoeae, un batterio trasmesso per via sessuale.

E’ un’infezione sessualmente trasmessa che oltre al tratto riproduttivo può interessare anche le mucose della bocca, della gola, degli occhi e del retto.

I soggetti maggiormente a rischio di contrarre l’infezione sono gli adolescenti, i giovani adulti e gli afro-americani.

La Gonorrea è una delle più antiche malattie sessualmente trasmissibili conosciute.
A livello globale, ci sono circa 78 milioni di nuovi casi di Gonorrea diagnosticati ogni anno. Solo negli Stati Uniti, ci sono circa 820.000 nuove infezioni ogni anno, un valore tuttavia sottostimato se si considera che non tutti i casi diagnosticati vengono segnalati.

Come si trasmette la Gonorrea

Contrariamente alla credenza popolare, la Gonorrea non può essere trasmessa attraverso la tavoletta del water o dalle maniglie delle porte. Il batterio che causa la Gonorrea richiede condizioni molto specifiche per la crescita e la riproduzione.

Il batterio al di fuori del corpo umano può sopravvivere per pochi secondi o minuti, né può vivere sulla pelle delle mani, delle braccia o delle gambe. Sopravvive solo su superfici umide quali la mucosa vaginale e/o la cervice. Inoltre, è in grado di vivere a livello dell’uretra, nel retto o in gola.

La Gonorrea è un’infezione facilmente curabile che se non diagnosticata tempestivamente può causare complicazioni gravi e talvolta permanenti

Nella donna, dove la malattia può decorrere anche in maniera asintomatica, causa la malattia infiammatoria pelvica (PID), che si verifica quando l’infezione interessa l’utero e/o le tube di Falloppio, e l’infertilità, dovuta proprio ad una PID cronicizzata.

Inoltre, il batterio della Neisseria gonorrhoeae può essere trasmessa dalla madre al feto durante il passaggio del feto nel canale del parto.

Negli uomini invece la complicanza dovuta alla Gonorrea è l’epididimite oltre, anche in questo caso, l’infertilità.

Quali sono i sintomi della Gonorrea?

I sintomi possono essere assenti nonostante sia attiva un’infezione da gonorrea oppure comparire già il giorno dopo il contagio fino a due settimane dopo.

I sintomi della Gonorrea negli uomini sono:

  • perdite uretrali bianche, gialle o verdi, simili a pus
  • dolore nei testicoli o a livello dello scroto
  • minzione dolorosa o frequente
  • perdite anali, prurito, dolore, sanguinamento o dolore durante il passaggio delle feci
  • prurito, difficoltà a deglutire e/o aumento delle dimensiono dei linfonodi del collo
  • dolore agli occhi, sensibilità alla luce o secrezioni oculari simili al pus
  • articolazioni arrossate, gonfie, calde, dolenti

La maggior parte delle donne infette non ha sintomi, specialmente nelle prime fasi dell’infezione

I sintomi della Gonorrea nelle donne sono:

  • perdite vaginali giallastre o verdi
  • bruciore o minzione frequente e/o dolorosa
  • dolore durante i rapporti sessuali
  • gonfiore e/o arrossamento vulvare
  • bruciore o prurito della zona vaginale
  • sanguinamento tra un ciclo e il successivo
  • sanguinamento dopo il rapporto sessuale
  • febbre
  • vomito e dolore addominale o pelvico
  • perdite anali, prurito, dolore, sanguinamento o dolore durante i movimenti intestinali
  • mal di gola, prurito, difficoltà a deglutire e anche in questo caso un aumento delle dimensioni dei linfonodi.
  • dolore agli occhi, sensibilità alla luce e secrezioni oculari simili al pus
  • articolazioni arrossate, gonfie, calde, dolenti

Quali sono le complicanze causate dalla Gonorrea?

Nelle donne, la gonorrea può portare a:

  • malattia infiammatoria pelvica, una condizione che può causare ascessi
  • dolore pelvico cronico
  • infertilità
  • gravidanze ectopiche – gravidanza in cui l’embrione si attacca al di fuori dell’utero

Negli uomini, un’infezione da gonorrea può causare:

  • epididimite – infiammazione dell’epididimo, che controlla la produzione di sperma
    infertilità

Sia gli uomini che le donne sono a rischio di sviluppare un’infezione gonococcica disseminata che mette in pericolo la vita se la gonorrea non viene trattata.

Questo tipo di infezione è spesso caratterizzato da:

  • febbre
  • artrite
  • tenosinovite – infiammazione e gonfiore attorno ai tendini
  • dermatite

I soggetti infettati da gonorrea sono anche a più alto rischio di contrarre l’HIV o, se già sieropositivi, di diffondere l’HIV oltre alla gonorrea.

Ulteriori complicazioni che si possono verificare nelle donne durante la gravidanza è il contagio del feto con conseguente infezione alle articolazioni del neonato, e possibile cecità del piccolo.
Inoltre, le donne in gravidanza con infezione da Gonorrea sono a rischio di avere un parto prematuro o un aborto se non trattate.

Nei soggetti immunocompromessi a causa di malattie quali l’AIDS, l’infezione da Gonorrea si manifesta in una forma ancora più  grave.

Come si fa la diagnosi di Gonorrea?

La diagnosi di Gonorrea viene accertata dopo aver eseguito l’esame con il tampone.
L’esame del tampone permette di prelevare un campione dalla mucosa dal sito infetto (pene, uretra, ano, retto, gola, cervice) per identificare i batteri in laboratorio attraverso la coltura del materiale prelevato.

tampone-vaginale-uretrale
Tampone-vaginale-uretrale : test diagnostico per la diagnosi della Gonorrea

Indagini diagnostiche più recenti prevedono l’impiego di DNA probes o tecniche di amplificazione (ad esempio, la reazione a catena della polimerasi o PCR) per identificare il materiale genetico dei batteri. Questi test sono più costosi delle colture, ma in genere producono risultati più rapidi.

Sono disponibili anche kit da utilizzare in casa per la diagnosi della Gonorrea nel caso in cui si sospettasse un’infezione a causa di rapporti sessuali a rischio.

Come si cura la Gonorrea?

Se il test è positivo e conferma l’infezione della Gonorrea, il paziente e il suo partner devono eseguire la cura.

In passato, si usava con successo la Penicillina fino a quando non sono comparsi ceppi resistenti.

Oggi, il trattamento d’elezione per curare la Gonorrea, nel caso di infezioni gonococciche non complicata della cervice, dell’uretra e/o del retto è una singola somministrazione intramuscolo di Ceftriaxone o di Cefixima, assunto per via orale.

Il Ceftriaxone, sempre intramuscolo in un’unica somministrazione, viene usato anche in caso di infezioni da Gonorrea localizzate a livello della faringe.

Una soluzione terapeutica alternativa per le infezioni gonococciche semplici della cervice, dell’uretra e del retto è la Spectinomicina, che può essere usata nelle donne non gravide in una singola dose intramuscolo, o le Cefalosporine (Ceftizoxima o Cefoxitina, somministrate con probenecid (Benemid), o Cefotaxime).

Siccome è molto probabile che chi ha la Gonorrea abbia anche contestualmente la Clamidia si raccomanda sempre di associare alla terapia descritta anche antibiotici quali l’Azitromicina o la Doxicillina per debellare anche quest’ultima infezione.

Nel caso in cui la Gonorrea sia complicata dalla presenza anche di una malattia infiammatoria pelvica (PID), il trattamento deve essere più aggressivo.
In questi casi le pazienti vengono di solito ricoverate per ricevere la somministrazione endovenosa di antibiotici.

Durante la cura è necessario astenersi dai rapporto sessuali. Terminata la cura, è necessario ripetere il test per confermare l’avvenuta guarigione con l’esito negativo del materiale esaminato.

Il test deve essere ripetuto 7 giorni dopo il termine della cura antibiotica.

Il neonato, invece, appena nato da una donna infetta viene trattato con l’applicazione di un collirio/pomata per gli occhi per prevenire la trasmissione della Neisseria Gonorrhoeae.

Cosa fare per prevenire la Gonorrea?

La Gonorrea è una delle malattie sessualmente trasmissibili più facili da prevenire perché il batterio che causa l’infezione può sopravvivere solo in determinate condizioni.

Ci sono molti modi per prevenire la trasmissione e quindi il contagio della Gonorrea:

  • utilizzo dei profilattici
  • evitare rapporti sessuali a rischio

Risorse utili

Test Della Gonorrea

Come avere una pelle migliore a 40, 50, 60 anni

L’invecchiamento è un processo che suscita emozioni contrastanti.
Alcuni segni appaiono lentamente mentre altri improvvisamente tanto da avere un impatto rilevante sia sull’aspetto fisico della persona sia su quello psicologico per quanto riguarda l’accettazione di se.

L’invecchiamento cutaneo è un processo fisiologico influenzato sia da fattori intrinseci e propri della persona, legati al DNA, sia a fattori estrinseci, ovvero ambientali e allo stile di vita.

Ad ogni modo, indipendentemente da tali fattori i segni clinici dell’invecchiamento cutaneo sono gli stessi:

  • perdita dell’elasticità della pelle
  • comparsa di macchie scure nelle aree foto-esposte quali ad esempio il viso e il dorso delle mani
  • insorgenza di rughe fini e sottili che con il passare del tempo diventano sempre più pronunciate e marcate
  • perdita del tono cutaneo
  • presenza di lassità cutanea
  • perdita di luminosità al viso

Di seguito alcuni consigli per contrastare l’invecchiamento cutaneo della tua pelle sia che tu abbia 40, oppure 50 o 60 anni.

Consigli per contrastare l’invecchiamento della pelle a 40 anni

Se non stai utilizzando prodotti anti-età per la cura della pelle è il momento di iniziare a farlo.
Prodotti a base di Vitamina A, C ed E sono stati largamente studiati in letteratura per la loro azione in grado di stimolare il collagene, prevenendo e contrastando le fini rughe al viso e di neutralizzare i danno dovuti ai radicali liberi.

crema idratante

Se la Vitamina A e i suoi derivati, appartenenti alla famiglia dei retinoidi, sono in grado di modulare e regolare la replicazione cellulare e la stimolare la sintesi di collagene ed elastina, la Vitamina C ed E, con la loro azione antiossidante,  sono in grado di neutralizzare i danni cellulari dovuti ai radicali liberi dell’ossigeno.

I prodotti con questi principi attivi andrebbero applicati sulla pelle del viso preferibilmente alla sera mentre di giorno bisognerebbe applicare un fotoprotettore per contrastare i danni alla pelle dovuti alla radiazione solare.

Un interessante trattamento cosmetico a base delle vitamine A, C, E, è il siero viso X115® ACE che apporta le 3 vitamine della bellezza in forma pura e mono-concentrata in 3 diverse formule a utilizzo ciclico.

Per quanto riguarda la fotoprotezione è consigliabile una con un alto fattore i protezione, ad esempio SPF 50 o SPF 50+, e un’azione sia nei confronti dei raggi UV ma anche della luce visibile e degli infrarossi.

Consigli per contrastare l’invecchiamento della pelle a 50 anni

A 50 anni le manifestazioni cliniche dell’invecchiamento cutaneo sono più accentuate e marcate. Se a questo aggiungiamo la menopausa le manifestazioni sulla pelle rischiano di amplificarsi ulteriormente sulla pelle delle donne.

Il cambiamento dei livelli di estrogeni, infatti, può rendere la pelle più secca e disidratata

La perdita di collagene favorisce il rilassamento cutaneo, visibile in particolare in prossimità del ramo mandibolare e intorno agli occhi.
La superficie cutanea diventa ruvida e compaiono macchie marroni, chiamante lentigo solari.

Non tutte le macchie brune del viso, favorite dalla cronica esposizione al sole sono sempre e solo Lentigo solari.
Un aspetto simile può averlo anche la Lentigo maligna melanoma, motivo per cui prima di valutare qualsiasi trattamento per la rimozione di tali macchie chiedete sempre il consulto del dermatologo per una diagnosi di certezza!

Anche a 50 anni i prodotti a base di Vitamina A, C ed E sono importanti, meglio se associati ad una crema idratante per contrastare la secchezza dovuta al calo degli estrogeni.

Inoltre, possono essere utili trattamenti medici quali la Fotodinamica e il dermarolling.

fotodinamica
Trattamento di fotodinamica

Sono trattamenti fisici che agiscono direttamente, il primo utilizzando la luce rossa e il secondo minime lesioni traumatiche con un rullino ricoperto da minuti aghi e che viene massaggiato sull’area da trattare, stimolando la produzione di collagene a livello del derma.

Sia la fotodinamica sia il dermarolling sono trattamenti medici.

Se poi sono presenti anche cicatrici o rughe più marcate, il laser frazionato può essere un valido trattamento medico in grado di agire in maniera selettiva e mirata anche su questa tipologia di manifestazioni.

Anche a 50 anni è indicata la fotoprotezione durante il giorno per gli stessi motivi descritti in precedenza.

Consigli per contrastare l’invecchiamento della pelle a 60 anni e anche dopo

Dopo i 60 anni prevale in genere l’assottigliamento progressivo della pelle.

Vanno bene i trattamenti topici descritti ma

è necessario intervenire anche per contrastare la perdita di spessore della cute, migliorando quindi la sua compattezza.

A tal proposito, in base all’entità del problema e dal momento in cui una persona dopo i 60 anni inizia il trattamento è possibile usare trattamenti domiciliari che possono essere combinati a quelli dermatologici per amplificarne l’effetto.

Dopo i 60 anni è consigliabile usare prodotti che contengono frammenti di acido ialuronico per stimolare la pelle a sintetizzare nuovo collagene così come valutare insieme al proprio dermatologo la fattibilità di eseguire trattamenti di biostimolazione o bioristrutturazione della pelle.
Si tratta di iniezioni con aghi atraumatici ed eseguite  localmente in diversi punti della pelle del viso per veicolare direttamente al di sotto della superficie cutanea acido ialuronico, vitamine e anti-ossidanti.

acido-ialuronico

L’acido ialuronico veicolato può avere concentrazioni diverse e il prodotto presentarsi in forma liquida o di gel in base alla sua concentrazione.

La scelta dermatologica sul tipo di prodotto da usare dipende dall’entità dell’invecchiamento cutaneo da trattare

Se la perdita di lassità cutanea e del tono è particolarmente marcata si può valutare insieme al proprio medico la fattibilità di altri interventi chirurgici quali ad esempio  il lifting o i fili di sospensione per il viso.

Conclusioni

Anche se le possibilità di trattamento, domiciliari o mediche, sono molteplici è necessario tener presente che possono aiutare a contrastare l’invecchiamento cutaneo, un processo fisiologico condizionato anche dallo stile di vista, dalle abitudini alimentari e dai fattori ambientali e quelli professionali.

Considerato l’allungamento dell’aspettativa di vita, oggi è possibile immaginare di investire sulla propria salute per una qualità di vita eccellente anche con il passare degli anni.

Un valutazione approfondita del tipo di pelle e delle problematiche legate e dovute all’invecchiamento è sempre fondamentale per un approccio mirato e quanto più individuale per un risultato da mantenere e preservare nel tempo.

Che tipo di Acne hai?

L’ Acne è una patologia cronica infiammatoria che interessa circa l’80-90% degli adolescenti alla pubertà ma che sempre più spesso si manifesta anche negli adulti, donne soprattutto.

I quadri clinici dell’Acne possono essere diversi e spaziano dalla forma lieve a quella moderata fino a quella grave.

Se le forme lievi di Acne di solito rispondono bene ai soli trattamenti topici, quelle moderate e gravi è probabile che invece richiedano anche una terapia sistemica con farmaci da assumere per bocca.

Inoltre, l’Acne per definizione è una malattia polimorfa caratterizzata cioè dalla presenza sempre da diversi tipi di lesioni, le quali possono essere più o meno rappresentate in ognuno dei quadri clinici citati.

Di seguito le lesioni tipiche dell’Acne:

I comedoni sono minute manifestazioni puntiformi che possono essere aperti o chiusi e corrispondono rispettivamente ai punti neri e ai quelli bianco/giallastri. I punti neri sono anche chiamati comedoni aperti. Sono simili a punti di piccole dimensioni e di colore marrone scuro o nero. La pelle intorno a un punto nero di solito appare normale, mentre il centro del punto nero è più scuro. La colorazione scusa non è il risultato di sporco intrappolato ma è la conseguenza dell’ossidazione del sebo al contatto con l’aria.

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Comedoni

I comedoni chiusi invece, anche loro di piccole dimensioni, sono simili ai precedenti ma non hanno il fenomeno dell’ossidazione in quanto il comedone è chiuso in superficie da un lembo di cute. I comedoni chiudi hanno un aspetto cupoliforme e possono avere un alone periferico di cute sana o arrossata.

Le papule sono manifestazioni rilevate sul piano cutaneo del viso o del tronco e possono essere arrossate e di consistenza teso-elastica e a volte alla palpazione possono dare fastidio e in alcuni casi anche dolore.

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Papule

Le papule possono essere l’evoluzione dei comedoni. Il termine comune che identifica la papula è il brufolo, usato però anche per le piccole e minute pustole.

Le pustole, simili alle precedenti, sono caratterizzate dalla presenza al loro interno di un materiale giallastro che a volte, anche spontaneamente, può erompere in superficie.

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Pustole

Vengono comunemente identificate dal termine di foruncoli.

I noduli sono manifestazioni profonde, localizzate al di sotto della superficie cutanea del viso o del tronco e che possono svilupparsi anche al di sopra del piano cutaneo. Le dimensioni sono superiori ad un centimetro.

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Noduli – cisti

Le cisti sono simili ai noduli ma con al loro interno la presenza di materiale purulento che a volte può erompere sulla superficie cutanea.

Il Dermatologo riconoscendo esattamente le diverse tipologie di lesioni e soprattutto definendo i diversi quadri clinici dell’Acne può consigliare un trattamento mirato e adeguato della patologia evitando che al paziente possano comportare esiti a lungo termine come le macchie e le cicatrici sul viso e sul tronco.

Se ad una valutazione superficiale si potrebbe pensare che le manifestazioni più gravi sono sempre e solo quelle caratterizzate dalla presenza lesioni diffuse al viso e al tronco contemporaneamente in realtà non è così.

La gravità dell’Acne non è direttamente collegata alla superficie del corpo interessata dall’Acne ma dalla tipologia di lesioni che la caratterizzano.

Proprio per questo un paziente con Acne che presenta pochi noduli profondi e localizzati alle guance e più grave di uno che presenta ad esempio la stessa patologia ma caratterizzata da comedoni superficiali e diffusi al viso e al dorso.

Con questo non significa che chi ha un’Acne caratterizzata solo dalla presenza di comedoni ha sempre una forma lieve di Acne perché in alcuni casi la loro densità e distribuzione all’interno della cute può essere tale da configurare un Acne moderata e non più lieve.

Inoltre, fatte queste considerazioni il dermatologo deve valutare anche il contesto della pelle con Acne se presente infiammazione visibilmente apprezzabile ad occhio nudo oppure no.

Dalla valutazione complessiva di tutte queste variabili è possibile definire l’approccio ideale per gestire e risolvere quel specifico quadro clinico. Trattamento che prima di essere prescritto deve però tener conto delle condizioni generali di salute della persona e soprattutto del tipo di pelle.

Solo a questo punto il dermatologo può strutturare un approccio terapeutico mirato e personalizzato per la persona per risolvere definitivamente il problema dell’Acne.

Tale approccio medico al problema dell’Acne per quanto possa sembrare semplice e immediato richiede la competenza e l’esperienza del dermatologo per non incorrere in errori che ahimè sono sempre più frequenti e che mai come in questo periodo stanno comportando il rischio di macchie e cicatrici sempre più spesso osservabili sulla pelle dei nostri adolescenti.

Errori che ho la percezione nascano dalla troppa informazione o dalla semplicità con cui oggi è possibile accedervi  che parallelamente non ha consolidato il concetto della competenza.

In altre parole non è sufficiente leggere in rete come si cura l’Acne per presumere di saperlo fare.

E’ un concetto sottile sul qual riflettere.

Se si perde di vista il riferimento, colui che è competente, possiamo accedere a tutte le informazioni ma si rischia di confondere chi poi fa o deve fare qualcosa per risolvere il problema.

Il riferimento per curare l’Acne è il dermatologo.

Senza la competenza del dermatologo gli errori più comuni nel cercare di trattare l’Acne sono:

  • fai da te applicando il dentifricio sulle lesioni oppure il Gentalyn Beta o analoghi. Se il dentifricio non ha alcuna azione dimostrata, l’applicazione dii farmaci a base di cortisone può dare l’impressione di migliorare l’Acne nell’immediato in quanto smorza l’infiammazione ma nel lungo periodo, in seguito all’’applicazione cronica, può peggiorare l’Acne
  • fai da te usando il detergente allo zolfo. L’Acne non è un problema della superficie cutanea che è possibile pensare di risolvere con un sapone
  • fai da te eliminando i latticini o altri alimenti dalla dieta. Anche se gli alimenti con un altro indice glicemico hanno un ruolo nell’Acne questo non significa che è una patologia che può essere curarta solo con l’alimentazione
  • fare la pulizia del viso. La pulizia del viso è un momento importante in alcune fasi della gestione dell’Acne ma è un errore pensare che possa essere l cura
  • fare la maschera all’argilla. Tale trattamento anche se aiuta a ridurre e a migliorare la seborrea del viso non è sufficiente a curare l’Acne
  • non fare nulla perché tanto l’Acne passerà poi da sola. Ahimè è un pensiero comune che considera l’Acne come uno “sfogo” della pubertà che da solo sparirà con il passare del tempo ignorando le conseguenze di un mancato trattamento
  • usare la stessa cura che ha funzionato per l’amico/a. Errore da evitare sempre! Se una terapia è stata efficace non deve essere passata ad altri. E’ sempre necessaria la valutazione del dermatologo
  • assumere la pillola a prescindere (per le donne). La pillola è indicata solo dopo la pubertà se fosse documentato nella donna la presenza di una problematica di funzionalità ovarica.
Acne manifestazioni infografica
Acne: come si manifesta e fake news

In conclusione

Da dermatologo segnalo che curare il brufolo, o qualsiasi altra singola manifestazione della malattia, non significa curare l’Acne.

L’Acne si cura e per farlo nel migliore dei modi devi sempre tenere presente che è necessario del tempo, non sono sufficienti 20 giorni di trattamento,

Confrontati sempre con il tuo dermatologo per stabilire insieme un’alleanza terapeutica che possa giovarti nel risolvere al meglio il tuo problema di Acne senza alcun problema.


Riferimenti scientifici

Inflammatory Acne Treatment: Review of Current and New Topical Therapeutic Options Zeichner JA. J Drugs Dermatol. 2016 Jan;15(1 Suppl 1):s11-6

AcneDegitz K, Ochsendorf F. J Dtsch Dermatol Ges. 2017 Jul;15(7):709-722

 

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